Corriere della Sera, 12 dicembre 2021
La corsa al Quirinale vista da Giuliano Urbani
Giuliano Urbani, da Perugia, 84 anni, politico, politologo, accademico, già ministro e uno dei fondatori di Forza Italia: c’erano Silvio Berlusconi e lui, a cena ad Arcore, il 29 giugno 1993, quando tutto iniziò.
Professore, ormai ci siamo, la corsa al Quirinale sta per partire.
«Non dobbiamo sprecare quello che abbiamo raggiunto. Confesso, all’inizio non riuscivo ad attribuire tanto coraggio e tanta lungimiranza a Sergio Mattarella. La sua è stata una presidenza luminosa».
A cosa si riferisce?
«La scelta di portare Mario Draghi a Palazzo Chigi e saper unire i partiti e l’Italia nel sostegno al suo governo è stata un miracolo per il nostro Paese e ora la soluzione migliore è a portata di mano».
Qual è professore?
«La prima cosa è pregare il cielo a mani giunte perché Mario Draghi resti a Palazzo Chigi. Non è assolutamente sostituibile».
E la seconda?
«Dare ascolto al pubblico della Scala, che si è unito in un’ovazione e ha gridato “Bis! Bis!”, chiedendo a Sergio Mattarella di tornare ancora sul Colle».
Ma il presidente ha motivato il suo no: ragioni politiche e personali.
«Lo capisco. Affrontare un altro settennato è una scelta assolutamente gravosa. Se le pressioni non riuscissero a fargli cambiare idea dovremmo allora scegliere un simil Mattarella, una persona che sappia portare avanti quello che lui ha iniziato».
E lei ha un nome?
«Io penso che la persona più adatta sia Paolo Gentiloni. Ha fatto bene sia in Italia che in Europa. E poi libererebbe il posto di commissario europeo, che potrebbe andare a un leghista, a Giancarlo Giorgetti, che ha capacità e equilibrio per quel ruolo».
E la candidatura di Silvio Berlusconi?
«È una candidatura legittima e riuscisse a diventare presidente sarei molto contento. Ma non credo che possa aggregare una maggioranza parlamentare sufficiente. Ci sarebbe rischio forte di franchi tiratori e baruffe. Il centrodestra lo tenga come bandiera fino all’ultimo ma poi la strada è il compromesso. E non credo che si possa raggiungere su un candidato di centrodestra. Non con questo Parlamento. Diverso sarebbe stato se si fosse scelto di fare le elezioni politiche prima, lasciando alle nuove Camere il compito di nominare il capo dello Stato».
E quindi che percorso immagina?
«I leader si devono mettere intorno a un tavolo prima possibile. Abbiamo bisogno di far scoppiare la pace, vincere la pandemia, far ripartire l’economia. Lo ripeto: abbiamo goduto di un miracolo. Siamo più uniti e siamo considerati in Europa. La legittimazione reciproca ci fa crescere mentre poco prima le cose andavano malissimo».
Ma lei propone al centrodestra, che ha legittima aspirazione di vincere le prossime elezioni, di votare per il Quirinale un candidato del Pd.
«Paolo Gentiloni è la figura più simile a Sergio Mattarella e poi consentirebbe di nominare un leghista commissario europeo. È la strada migliore per il bene del Paese. Io prima di tutto sono italiano, e poi di centrodestra. La prima cosa è salvare il Paese e l’Europa».
Non teme che Mario Draghi, restando a Palazzo Chigi, possa diventare ostaggio di partiti che pensano solo alla campagna elettorale?
«Assolutamente no. E mai con Sergio Mattarella o Paolo Gentiloni presidente della Repubblica. Con Draghi possiamo avere un vantaggio enorme in Europa. Pensiamo solo a cosa vuol dire la Germania senza Angela Merkel, o alla recente intesa tra Francia e Italia».
Non teme il voto dei grandi elettori in un Parlamento così frantumato?
«Non sono preoccupato. Sono terrorizzato. È per questo che i leader della maggioranza Draghi, con attenzione a Giorgia Meloni, devono sedersi intorno a un tavolo prima possibile. Bisogna evitare lunghe votazioni inconcludenti. E non si può forzare la mano. I partiti sono troppo deboli perché si possa pensare di forzare la mano».
Ci sono però anche altri possibili candidati: Giuliano Amato, per esempio, o Pier Ferdinando Casini.
«Giuliano è un carissimo amico mio, ma non si può. Berlusconi lo sosterrebbe ma non avrebbe i voti di Fratelli d’Italia e della Lega. Casini è persona per bene ma non credo che anche lui abbia possibilità».
Non sarebbe l’ora di una donna al Quirinale?
«Non vedo la possibilità in questo momento: Rosy Bindi è troppo caratterizzata, Marta Cartabia ancora troppo poco conosciuta».
Che cosa pensa del taglio dei parlamentari?
«Ne penso tutto il male possibile, è privo di senso, rende tutto più nervoso e precario. C’è stata l’incapacità di opporsi a un errore, eravamo ancora tutti in piena sbornia grillina».