la Repubblica, 12 dicembre 2021
La fine dei motori a combustibile
Quando salgo su un motorino elettrico succedono due cose. La prima: mi sento nel film Matrix, poggio un dito su una porzione di schermo del mio iPhone e il bauletto dei caschi si apre. La seconda: dopo aver premuto il tasto di accensione mormoro brum brum, come i bambini al volante di un’automobile parcheggiata.
Sono nata nel mondo del motore a scoppio e per anni ho guardato la Formula 1. Quando passava in chiaro sulla Rai insieme ai tornei di tennis. Il tennis produceva un rumore regolare di metronomo grazie al quale potevi seguire la partita da un’altra stanza. Il rumore dà informazioni. Anzi, in matematica, il rumore è un segnale di disturbo rispetto all’informazione trasmessa. Ne esistono di vari colori, rosa, marrone, grigio, il più famoso è il rumore bianco.
Così, quando ho letto che dal 2035 le macchine con motore endotermico – il cosiddetto motore a scoppio – andranno fuorilegge, ho pensato alla necessità di una decisione del genere ma pure al rumore. Brum Brum facevo leggendo.
Gli esseri umani del futuro forse non avranno bisogno del rumore o forse saranno circondati da ologrammi sonori, perché l’abitudine a orientarsi e a valutare una situazione attraverso i suoni è più risalente della tecnologia. Rombi di motori fuorilegge, ticchettii di tasti, più o meno meccanici quando ci saranno solo schermi, crepitii di legna che arde quando non sarà più possibile in alcun luogo accendere il fuoco. Senza i rumori perderemo le parole dei rumori.
Tra le mie – non molte – ossessioni c’è l’assimilazione della tecnologia alla religione. Un po’ perché in effetti la tecnologia ha, in senso proprio, compiuto miracoli – chi non poteva camminare ha camminato, chi non poteva vedere ha visto, chi non poteva raggiungere ha raggiunto, chi non riusciva a morire è morto, – un po’ perché parliamo di questioni tecnologiche utilizzando un vocabolario religioso. Noi crediamo alla scienza e alla tecnologia che da essa discende o non crediamo alla scienza e alla tecnologia che da essa discende. La tecnologia non è dialettica funziona o non funziona, la religione, nonostante viva di esegesi, non è dialettica come tutti i sistemi in cui esiste o è presunta una verità assoluta. La funzionalità è la verità assoluta del nostro tempo. Ciò che funziona salva, assolve e benedice.
La scomparsa a venire del motore a scoppio aggiunge un anello al discorso tecnologia/religione. Gli dèi erano rumorosi. Zeus tuonava, nella fucina di Ares il rombo doveva essere quello dei siderurgici, le frecce di Diana fischiavano e i suoi cani latravano, Mercurio, dio dei mercanteggiamenti, girava col suo caduceo sibilante. Gli esseri umani da un certo punto in poi – un punto indefinito della decadenza dell’Impero Romano direbbe Borges, il punto in cui abbiamo smesso di piangere perché tanto si risorgeva ha scritto De Martino – hanno abdicato a una religione di suoni per una religione dell’inaudibile e dell’invisibile.
Mi domando se siamo daltonici ai suoni come al calore se, in breve, di spalle, possiamo o no distinguere tra il suono di un motore a scoppio registrato e quello di un motore in funzione. Mi domando soprattutto da quando la modernità sia passata dall’aggiungere e produrre suoni al sottrarli e spegnerli.
Se gli esseri umani non fossero nostalgici non avrebbero inventato la matematica. La matematica nasce perché aspettiamo qualcosa o qualcuno. E per farlo bisogna avere una idea del tempo e la possibilità di contarlo. Così, nonostante desideri che noi tutti torniamo a essere parte della natura e non a sentircene i padroni, mi chiedo se ci mancherà il motore a scoppio, se l’assenza di questo suono cambierà i giochi dei bambini e delle bambine. Mi dolgo, insomma, come Thomas Edison in Eva Futura di Villiers per aver tardato nelle sue invenzioni e non aver potuto intrappolare il suono delle trombe di Gerico.
Ci raccontiamo che il nuovo arriva e irrompe con grande frastuono, e invece il nuovo della post-modernità giunge il silenzio. In bilico tra Enjoy the silencedei Depeche Mode e Rumore di Raffaella Carrà viviamo.