il Fatto Quotidiano, 11 dicembre 2021
Centonove voltagabbana in dieci mesi
I cantori del governo Draghi ne celebrano spesso la capacità di assicurare stabilità. Ma a guardare i numeri del Parlamento emerge invece una certa agitazione, almeno tra i partiti: in appena dieci mesi, i cambi di casacca sono stati già 109, alla media da record di undici al mese. Un dato in continuo miglioramento, se si tiene conto che in queste settimane diversi parlamentari si stanno riposizionando in vista del voto per il presidente della Repubblica, a questo punto condizionato per natura dagli umori di un esercito di eletti che hanno già cambiato partito in passato e magari sarebbero pronti a farlo ancora.
Primato. Ogni mese undici trasformisti
Mario Draghi giura il 13 febbraio 2021, dopo che sono falliti gli ultimi tentativi di convincere 4 o 5 senatori a sostenere il governo di Giuseppe Conte. Un pezzo di Movimento 5 Stelle sceglie l’opposizione (oggi Alternativa è una componente del Misto e conta 20 grandi elettori per il Colle) mentre Giovanni Toti e Luigi Brugnaro strappano una trentina di parlamentari al centrodestra e al Misto. Il movimento isolato di qualche altro deluso completa il quadro. Da febbraio a oggi, si diceva, in dieci mesi ci sono stati 109 cambi di Gruppo (che dunque non tengono conto dei moti tra componenti del Misto, come l’approdo di Emanuele Dessì al Partito comunista italiano). Ma anche senza addentrarci in questi micro-spostamenti, il dato – ottenuto elaborando le statistiche di OpenParlamento – è molto alto.
Per rendersene conto basta confrontarlo con quello degli altri governi di questa legislatura. Durante il Conte-1, i cambi di casacca – sorvolando anche in questo caso sulle piccole componenti del Misto – sono stati 29. L’esecutivo gialloverde è rimasto in carica 15 mesi, dal giugno 2018 al settembre 2019, quindi in media ci sono stati meno di 2 cambi di gruppo al mese.
Un po’ più di imprevedibilità arriva con il Conte-2, anche perché dopo neanche un mese dal giuramento Matteo Renzi lascia il Partito democratico e fonda Italia Viva, portandosi dietro una quarantina di eletti che costeranno caro all’avvocato. Dal settembre 2019 al febbraio 2021, quando cade il governo, i cambi di gruppo sono 135, complice il tentativo di una decina di senatori di salvare l’esecutivo aderendo all’ultimo momento al Maie. Spalmati sui 17 mesi di vita giallorosa, i cambi di gruppo sono perciò otto ogni 30 giorni. In totale, mettendo insieme le due esperienze di Conte a Palazzo Chigi, arriviamo a 164 cambi di casacca che coinvolgono 143 parlamentari: la media scende a 7,4 transfughi al mese. Col governo Draghi siamo invece a undici cambi al mese (uno ogni tre giorni), in attesa dei nuovi smottamenti provocati dal Quirinale.
I recidivi. C’è chi ha cambiato cinque partiti
Il totale dei cambi di gruppo è arrivato a 273 (29 nel Conte-1, 135 nel Conte-2 e 109 nel Draghi), mentre gli eletti che si sono mossi da un partito all’altro sono ben 210. Parliamo di 141 deputati e 69 senatori, 67 dei quali si sono trasferiti per la prima volta durante il governo Draghi. Il dato non è da sottovalutare, perché significa che in meno di quattro anni di legislatura più di un quinto dei parlamentari ha cambiato schieramento. Va da sé poi che se gli eletti in movimento sono 210 e i cambi di gruppo 271, significa che una buona percentuale di loro non ha trovato pace neanche dopo un primo trasferimento e si è riposizionato almeno un’altra volta. Il record di questa particolare specialità è tutto per il senatore Giovanni Marilotti, eletto nel 2018 con il Movimento 5 Stelle in Sardegna.
Dopo essersi battuto contro il taglio del numero dei parlamentari, nel 2020 Marilotti aderisce al gruppo per le Autonomie, poi si sposta nel Maie nel tentativo di formare un gruppo di “responsabili” in grado di sostenere Conte contro gli attacchi di Renzi. Fallito l’esperimento, Marilotti va prima al Misto e poi, siamo nell’aprile 2021, si fa convincere dal Partito democratico, suo ultimo approdo.
Lo storico. Dal 1994 solo una volta peggio di così
I numeri elencati finora sono quasi un unicuum dai tempi di Tangentopoli. Considerate le ultime sei legislature (dal 1994 in avanti), il dato di 210 transfughi è il secondo più alto, battuto solo dall’ultimo Parlamento, quello in carica dal 2013 al 2018, capace di contare ben 347 trasformisti (più di un eletto su tre). Per il resto, pur con un anno di anticipo rispetto alla scadenza del mandato, è già record: tra il ’94 e il ’96 si spostarono 185 onorevoli, tra il 1996 e il 2001 furono 193, poi solo 73 a inizio millennio e 170 durante il secondo governo Prodi (dal 2006 al 2008), prima dei 180 in movimento tra il 2008 e il 2013. Più in linea con la media è invece il dato di oggi sui cambi di gruppo, perché i 273 di cui abbiamo parlato non hanno ancora nulla a che vedere coi 566 raggiunti durante i governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, primato storico – e forse imbattibile – in più di settant’anni di Repubblica.
Il saldo. Male il m5s, “misto” da doppia cifra
Le tabelle di OpenPolis chiariscono bene come si siano mossi gli oltre 200 transfughi di questa legislatura. Dal 2018 a oggi, l’unico Gruppo ad avere perso parlamentari senza guadagnarne neanche uno è il Movimento 5 Stelle, che per scelta non accoglie chi ha già militato in un altro partito. Il risultato è un sanguinoso -62 alla Camera e -34 al Senato. Totale: 96 eletti in meno, un esercito spesso indecifrabile – perché di estrazione ideologica molto diversa – che sarà decisivo nella scelta del nuovo presidente della Repubblica tra circa un mese.
Soffrono anche il Partito democratico (-31) e Forza Italia (-38, per quanto in miglioramento), mentre gongolano Fratelli d’Italia (+9) e Lega (+11). Ma l’anomalia più evidente è quella del Gruppo Misto, cresciuto di circa 70 elementi e arrivato a contare più di 100 parlamentari. Come un partito in doppia cifra alle elezioni.