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 2021  dicembre 11 Sabato calendario

Orsi & tori

In pensione a 71 anni. Le previsioni dell’Ocse gettano lo sconforto non soltanto nei giovani che stanno cominciando a lavorare oggi e a cui la previsione è destinata, ma anche in chiunque abbia a cuore il futuro dell’Italia. Che Paese sarà l’ex-Belpaese se non si porrà rimedio a questo disastro generazionale? Non c’è un bel futuro se la popolazione è prevalentemente anziana, se non vecchia e molto vecchia. E se la seconda causa è positiva, cioè l’allungamento della vita grazie al miglioramento del tenore di vita, alla medicina, nonostante il covid, la causa negativa è la caduta demografica a causa del calo impressionante delle nascite. Come mai i giovani italiani si accoppiano sempre meno per fare figli?

La risposta più frequente è: perché la condizione economica non lo permette per la grande generalità dei giovani. È vero ed è la causa più grave. Ma non è tutto.
Ci sono altri fatti oggettivi come il cambiamento della struttura familiare rispetto agli anni del baby boom. Allora i giovani genitori potevano contare sull’aiuto dei loro genitori, magari conviventi. Tutta l’organizzazione familiare era diversa. La convivenza alleviava sia gli aspetti economici che quelli gestionali dei bambini. Ma tutto questo non è sufficiente a spiegare la caduta delle nascite, anche perché ciò non è avvenuto negli altri paesi europei dove pure le strutture familiari sono mutate. Né è colpa della televisione e dei social, come qualcuno con un po’ di leggerezza e volgarità si permette di dire.
Il fatto grave è che l’Italia è il secondo paese dell’Ocse per spesa pensionistica, pari al 17,4% del pil nel 2019. Come dire che più la popolazione invecchia, più aumentano i pensionati, che per fortuna vivono più a lungo, e quindi più aumenta la spesa. E se non ci sono nuove generazioni che contribuiscono, il sistema pensionistico salta, a meno di non allungare appunto fino a 71 anni, il periodo di lavoro prima della quiescenza.
Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, nominato dalla parte M5S in sostituzione dell’economista Tito Boeri, coerentemente con la linea del Movimento sostiene che la principale soluzione è l’introduzione del salario minimo, certo non il salario di cittadinanza. È un’idea ora condivisa anche a livello europeo. Ma il principio vale soprattutto per l’Italia, dove gli stipendi medi sono fra i più bassi dei principali paesi della Ue e dove le sacche di povertà aumentano.
Il problema è proprio in questa assurda equazione: l’Italia è il paese con il più alto risparmio nel mondo insieme al Giappone. Ma come i miei tre lettori sanno per la mia insistenza nel ripeterlo, il 75% di questo risparmio viene investito all’estero; quindi, il risparmio degli italiani finanzia lo sviluppo degli altri paesi. Ergo, l’Italia, nonostante un ceto medio alto non esiguo che vive molto bene, non sfrutta tutte le sue potenzialità di sviluppo e di conseguenza mancano le risorse per salari simili a quelli degli altri maggiori paesi europei e quindi mancano contribuzioni all’Inps che possano finanziare più pensioni e pensioni per più anni, considerando l’innalzamento della vita media.
Sorprende che nell’esame dell’Inps sull’allungamento necessario dell’età per il pensionamento non venga preso in considerazione il pilastro fondamentale dell’impiego del risparmio che può favorire un maggiore sviluppo dell’economia italiana, quindi un maggior numero di occupati e di occupati con salari più alti. Del resto, da che cosa dipende la crescita della povertà in Italia se non, da molti anni, dal livello basso di sviluppo del pil o addirittura di zero sviluppo?

Le ragioni, senza farsi deviare dal 6,4% di possibile crescita del 2021 effetto solo del rimbalzo da pandemia, sono note, ma giova ripeterle:

1) Una burocrazia inefficiente;

2) forte evasione fiscale;


3) una sistema giudiziario che non funziona;

4) un sistema del credito basato per oltre il 90% sulle banche, che hanno sempre più vincoli;

5) un mercato dei capitali (concausa del punto 4) da paese sottosviluppato, con appena 300 società quotate al mercato principale, Euronext Milan (ma io dico Milano), e 150 nel mercato per le pmi, Euronext growth Milan(o) che solo teoricamente è dedicato a milioni di pmi, il sistema portante dell’economia italiana.
Sono anni che poche persone che hanno realmente a cuore lo sviluppo dell’Italia chiedono provvedimenti per far crescere il mercato principale e quello per le pmi, come veicolo principale per incanalare il grande risparmio italiano verso lo sviluppo. Ma neppure il governo presieduto da un uomo della profonda conoscenza dei meccanismi economici come Mario Draghi, dà segno di voler sciogliere questo nodo fondamentale. Anzi, recentemente ha abolito anche il timido stimolo per spingere le pmi, e perché no anche le medio-grandi aziende italiane, a quotarsi, non rinnovando nella legge di bilancio l’agevolazione fiscale che esisteva per chi faceva il gran passo. Non era gran cosa, ma almeno segnava una direzione in cui si voleva andare. Probabilmente un qualche emendamento lo reintrodurrà per altri tre anni, ma sorprende che un fattore così fondamentale per il recupero di risparmio che va all’estero non sia stato pensato come un cardine del rilancio dell’Italia e che finisca, magari esile, per essere salvato in extremis.
Ma come sempre i miei lettori sanno, in tutto il mondo capitalistico, ma anche in Cina e Russia, il risparmio viene mobilitato verso lo sviluppo delle aziende e quindi del paese anche attraverso finanziamenti che non passano dalle banche e neppure dalle borse. Uno dei possibili strumenti (negli Usa valgano 900 miliardi) sono i fondi di credito. Formalmente in Italia ci sono, ma non arrivano a dirottare verso le aziende che un miliardo di euro.
Appare evidente che il problema delle pensioni per evitare che le nuove generazioni debbano aspettare almeno 46 anni di lavoro (se si ipotizza che il lavoro inizi a 25 anni, ma in molti casi inizia e dovrebbe iniziare prima) per andare in pensione, è il problema centrale e ormai ventennale della crescita che non c’è e che non c’è per tutti i motivi che abbiamo visto, ma anche, come il cane che si morde la coda, per lo stesso calo demografico.
Che idee ha da lanciare, Signor Presidente del consiglio, prima di andare eventualmente al Quirinale? Non pensa che un discorso serio con i sindacati debba avere al centro proprio questo tema, al di là della battaglia per qualche punto nelle aliquote fiscali per i ceti più bassi?
Nel numero speciale dei 35 anni di MF-Milano Finanza, a pagina 71, nell’intervista a Mario Nava, il più alto dirigente italiano nella Ue che si era deciso a tornare in Italia per presiedere la Consob ma poi è scappato per aver toccato con mano l’inefficienza del paese, c’è una tabella che mette i brividi. È la classifica dei paesi europei che hanno più evasione rispetto al pil. L’Italia è al sesto posto (in negativo) con 190,9 miliardi di tasse evase, pari al 23,28 del pil. Peggio dell’Italia fanno solo Romania, Grecia, Malta, Lituania, Bulgaria. Gli altri maggiori paesi con cui l’Italia si confronta sono con evasione ridicola rispetto al Belpaese: la Spagna ha 60 miliardi di tasse evase pari al 14,71, la Francia 117, 9 miliardi, pari all’11,09 del pil, la Germania 125,1 miliardi, pari al 10,1% del pil, il Regno Unito 87,5 miliardi pari appena al 9,62% del pil.
Ecco in questi dati c’è il dramma dell’Italia: un pil più basso o molto più basso dei principali paesi europei e una percentuale di evasione doppia.
Se i partiti, per strapparsi voti, non decideranno di smetterla di fare proposte populiste, non c’è da illudersi che, a Covid superato, Pnrr realizzato (ma ci sono forti dubbi che ciò avvenga se Draghi andrà al Quirinale), l’Italia sarà di nuovo oppressa dal debito, che appunto è figlio della mancanza di adeguato sviluppo, della forte evasione, e dall’ inefficienza della macchina dello stato. La preoccupazione è che la Befana porti all’Italia grandi quantità di carbone, anche se dolce.

* * *

Non si sa invece che cosa ci sarà nell’uovo di Pasqua delle Generali. La battaglia mediatica in corso, condotta soprattutto dal personale della comunicazione del costruttore ingegner Francesco Gaetano Caltagirone, il più importante palazzinaro romano come è stato da vari lustri battezzato da giornali quali L’Espresso, sta raggiungendo toni acuti. Per esempio, è fortissima la pressione su un giornale di qualità, ma di proprietà della Confindustria, come Il Sole-24Ore perché contesti la governance che consente al consiglio d’amministrazione in carica di procedere alla designazione dei consiglieri per l’assemblea di aprile. Ma non passa giorno che anche altri giornali, oltre a quelli della scuderia diretta dell’Ing. Caltagirone, siano spinti a scrivere direttamente o a far capire che l’attuale ceo, Philipe Donnet non debba essere rieletto. Il francese Donnet è grande amico dell’ex-ceo di Unicredito ed ex-militante della legione straniera, Jean-Pierre Mustier, che ha spazzolato a valori molto bassi tutti gli npl della banca, oltre a vendere un gioiello come Fineco e la società di gestioni del risparmio Pioneer alla francese Amundi. Ma ciò che ha fatto Donnet alle Generali è ampiamente positivo: dal 2016 il valore del titolo Generali in borsa è salito del 133% e gli utili sono consistenti. Per questo sarebbe difficile far riemergere un vecchio detto secondo cui le Generali covano uova di pietra.
Le Generali sono il più grande gruppo italiano con diffusione internazionale. Al punto che un uomo dell’intelligenza e della capacità di Carlo Messina, ceo di IntesaSanpaolo, pochi anni fa aveva provato a lanciare un’ipotesi di fusione banca e assicurazione, prima di imboccare in maniera autonoma, forse ispirato dalle idee di Ennio Doris, la strada di successo della Bancaassicurazione in una sola entità e non come altre banche che hanno stretto partnership con compagnie di assicurazioni più o meno valide. Fin delle prime indiscrezioni sul piano preparato da Donnet, viene stabilito che Generali, grande compagnia, debba diventare sempre più forte nella parte bancaria di gestione del denaro. Banca Generali ha oggi un a.d. di altissimo livello come Gian Maria Mossa. E quindi l’obiettivo è più che possibile. Ed è quanto anche il duo Caltagirone-Del Vecchio, più la Fondazione CRT, più, sembra, i Benetton, stanno chiedendo.
Questo giornale non è schierato. Ritiene semplicemente che il sistema della designazione dei consiglieri da parte del vecchio consiglio debba, lo dice anche la Consob, essere reso più oggettivo, e questa è una buona cosa. Ma ritiene anche che non si dovrebbe poter prendere il potere in Generali, nel rispetto della borsa, dichiarando il concerto al di sotto della soglia in cui l’Opa è obbligatoria grazie ad alleanze sotterranee. Se il cambio alle Generali avvenisse con meccanismi che cercano di evitare l’Opa, la Consob, nonostante i due commissari già schierati con Caltagirone- Del Vecchio, non potrà non intervenire per far rispettare le regole di mercato, ancorché un mercatino come quello italiano. Se invece il duo Del Vecchio-Caltagirone dovesse liberamente e in maniera trasparente arrivare a superare il livello di opa obbligatoria, allora viva il duo del grande Del Vecchio e dell’ammanigliato Caltagirone. Viva il duo perché saranno rispettate le regole del mercato. Allo stesso modo in cui se Mediobanca, invece di fermarsi al 17% (con i voti in prestito) costituisse una cordata ufficiale con voti superiori al livello di opa obbligatoria, viva Mediobanca.
Ma data l’importanza di Generali, certo non potrà non avvenire il più rigoroso controllo sulla gara in corso da parte di tutti gli organi di controllo, magistratura inclusa. (riproduzione riservata)