Corriere della Sera, 11 dicembre 2021
Il caso del vescovo di Noto contro Babbo Natale
Ammette di aver creduto a Babbo Natale, da bambino. «Ma io ero più interessato alla Befana, perché diversamente da lui esprimeva un giudizio nei doni: un anno mi portò i carboni perché ero un tipo discolo». Lo scorso anno gli ha pure scritto una lettera di conforto, per via della crisi pandemica, dato il ruolo ormai conclamato di «facchino di regali». «Come si dice: mal comune, mezzo gaudio». Ma nessun risentimento lo ha spinto a dichiararne la non esistenza, nel giorno di San Nicola, davanti ai bambini seduti nella Basilica del Santissimo Salvatore a Noto.
Anzi, monsignor Antonio Staglianò, o «don Tonino», come chiede di essere chiamato quando lo sentiamo per telefono, rettifica subito: «Non ho mai detto che Babbo Natale non esiste, ma che esiste come personaggio immaginario e non come persona reale. E che pur essendo un personaggio immaginario, ha radici storiche di persona reale e quella persona è San Nicola di Mira: tant’è che in Danimarca si chiama Santa Claus, in Germania Sankt Nikolaus. Con la differenza che lui i doni li porta a tutti i bambini, non solo a quelli ricchi i cui genitori possono permettersi di comprarli».
Il ragionamento, che lunedì scorso puntava a far tornare al centro il senso profondo del Natale, «che è Gesù che nasce», ha però lasciato di stucco alcune madri, che hanno visto infrangersi sotto gli occhi dei loro bambini la favola del pancione barbuto che si cala dal camino con un sacco pieno di pacchetti. «La cosa curiosa è che io per dieci minuti avevo parlato di tutt’altro, sull’origine dei nostri nomi, e le donne ascoltavano un po’ distratte. Finché non ho nominato Babbo Natale. Dopo, decine di bambini volevano venire al microfono per dire che lo sapevano già che a portare i regali erano lo zio o i genitori. Il problema vero è che il Natale non appartiene più alla cultura cristiana, ma a una cultura consumistica del mangiare, bere e vestire. Poi vai a vedere, e le chiese sono vuote...».
Poiché indagare sul perché le chiese sono vuote diventerebbe complicato, restiamo sulla cronaca di lunedì e sull’attacco di don Tonino alla Coca Cola, che si sarebbe impossessata di Babbo Natale scegliendo per lui una divisa rossa per i noti fini commerciali (il che non è proprio vero: esiste una illustrazione di Santa Claus in rosso di Thomas Nast, datata 1881, quando ancora la multinazionale americana non era nata). Anche qui, però, il vescovo rettifica: «Se dici che colpevolizzo la Coca Cola non sono d’accordo, però se un’immagine creata apposta va a corrodere anche la tradizione cristiana, io nel mio ruolo di vescovo lo devo dire».
La verità è che alla fine questa polemica prenatalizia a monsignor Staglianò dispiace. «Se vogliamo impostare tutto sulla figura di Babbo Natale, allora io ripristino ciò che è stato rubato: e lui ha rubato la scena a San Nicola, che è un santo davvero esistito, reale, perché ha seguito la via di Gesù, quindi in quanto santo mi riporta alla incarnazione del verbo a Natale. Ma ormai, come diceva don Tonino Bello, il Natale è una festa senza il festeggiato. E allora, dopo che il Natale non ci appartiene più, perché le sue parole, i suoi simboli e le sue azioni sono state risucchiate dal buco nero dell’ipermercato, noi pastori non diciamo nulla?».
E monsignor Staglianò ha sempre un suo modo peculiare di dire le cose. Come quando va in tv con la chitarra in mano o quando, a messa, canta le canzoni di Noemi, Mengoni e Gabbani. «Si chiama cantillazione, e la posso praticare in una predica cantata». Per il prossimo Natale, però, di canzone ne ha in mente solo una: «Tu scendi dalle stelle: è la canzone più pop che c’è».