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 2021  dicembre 10 Venerdì calendario

LE FAKE NEWS TI FACEVANO SCHIATTARE ANCHE NEL TERZO REICH - IL LIBRO "LA PROPAGANDA NELL'ABISSO" RACCONTA COME NEL 1945 GOEBBELS FACEVA PUBBLICARE UN GIORNALE PIENO DI NOTIZIE FALSE PER CONVINCERE I BERLINESI A MORIRE IMMOLANDOSI IN STRADA CONTRO L'ARMATA ROSSA, MENTRE LUI E HITLER STAVANO RINCHIUSI NEL BUNKER - VENIVANO RIPORTATE LE FINTE DIFFICOLTÀ DEL NEMICO, QUANDO ORMAI IL DESTINO DELLA GERMANIA ERA SEGNATO... -

Mai in preda al panico e sempre lucido nel suo estremismo, Joseph Goebbels non smise di predicare la dottrina del nazismo. A qualsiasi costo, sino alla morte sua e del regime.

Anche negando la realtà, distorcendola, incitando all'inutile martirio i suoi stessi concittadini, travolgendoli di menzogne. Ovviamente a mezzo stampa, il suo pezzo forte, il suo drammatico capolavoro, essendo riuscito a ridurre tutti i giornali tedeschi a «pianoforte del Terzo Reich».

Tra il 22 e il 29 aprile del 1945, con l'Armata Rossa che stringeva fino ad annientare Berlino, Adolf Hitler e Goebbels, nel loro tentativo di rendere comunque immortale la loro creatura, non rinunciarono alla propaganda. Ma dell'orchestra che aveva sostenuto la dittatura fino al crepuscolo non restava più da suonare altro che veleno e - si direbbe oggi - fake news. A Berlino, per di più, potevano contare soltanto su un ultimo precario giornale: il Panzerbär.

Quattro pagine per otto uscite, in formato ridotto, usando una tipografia di fortuna, con una sola rotativa, e allestendo la redazione nel bunker sotto la Cancelleria cannoneggiata. Il logo (e nome della testata) era un orso corazzato, con la vanga e il panzerfaust tra le zampe: incitava i berlinesi a combattere fino all'ultimo secondo, perché la vittoria era vicina, così scrivevano i nazisti. Perché i rinforzi stavano arrivando e perché gli occidentali avrebbero presto cambiato le alleanze.

A questo quotidiano è dedicato La propaganda nell'abisso, scritto da Giovanni Mari per Lindau. Goebbels si dedicò a quel progetto nell'asfissiante ridotto hitleriano, dettando i suoi articoli, dando ordini redazionali, intimando ai generali e a un manipolo di intellettuali, nonché ai soldati-giornalisti rimasti in piedi, di scrivere commenti e rapporti. Il Panzerbär fu distribuito tra le macerie da ragazzini in bicicletta, gratuitamente, qualche volta gettato da piccoli alianti sulle truppe rimaste isolate.

Sulla prima pagina, mutuando il detto scolastico tedesco, c'era l'invito, stampato sulla testata, a «leggere e passare» ad altri. Una decina di articoli ripeteva ossessivamente - come Goebbels aveva insegnato - che «dietro all'ultimo dispiegamento massiccio di carri armati sovietici si nasconde un enorme abisso».

Un editoriale, non firmato e quindi da attribuire direttamente al ministro della Propaganda, recitava: «Se riuscissimo, con l'ultima forza a nostra disposizione, a sfondare questa dura crosta, allora questa spinta andrebbe senza resistenze avanti fino al cuore del nostro nemico mortale».

Non c'era nulla di vero. Ma questo era il teorema, studiato ad arte per ipnotizzare la popolazione nonostante la lucida previsione di sconfitta.

E diventa paradossale, su quelle stesse pagine, quando i nazisti devono dar atto anche della distribuzione di provviste, smentendo nei fatti la bugia dei magazzini pieni riportata nei titoli.

Il quotidiano riferiva come l'ufficio provviste avesse «destinato a ciascuna famiglia 250 grammi di carne, un etto di grassi, un quarto di chilo di zucchero» e «proposto una possibile permuta tra una lattina di verdure e una scatoletta di pesce».

Il Reich dei 1.000 anni era ridotto a questo trasandato mercato della povertà, della fame, messo a rischio da crolli continui, cannoneggiamenti e suicidi. Ma tutto era imbellettato con la promessa di un imminente cambio della scena, grazie a miracolosi interventi strategici del Führer.

Il Panzerbär riportava ogni giorno il bugiardo bollettino di guerra diramato dalla Wehrmacht e vidimato dagli uomini del ministero; ospitava feroci editoriali dei pochi gerarchi del Terzo Reich rimasti in vita o rimasti fedeli a Hitler, spiegava le fantomatiche ricostruzioni politiche di Goebbels sui motivi della guerra e sulla sua evoluzione futura, diffondeva la minaccia che ancora aveva la forza di farsi quotidianamente più aggressiva di Hitler: «Chi tradisce deve essere ucciso».

E raccontava anche le storie del fronte, un fronte cittadino, esaltando singole disperate azioni di presunti eroi immediatamente diventati martiri, elogiando le donne che combattono al fianco degli uomini, innalzando a paladini i poveri ragazzini scagliati contro i carri armati sovietici.

Il Panzerbär, il solo foglio che circolava sotto le bombe di Berlino, era la summa della propaganda totalitaria di guerra, intrisa di incommensurabili bugie e di opprimente violenza.

Invogliava senza perifrasi i civili a scendere in strada, con poche granate e tra barricate improvvisate contro gli obici avversari, di fatto condannando a morte una popolazione senza più speranza; così come senza speranza era la cricca nazista, che infatti già aveva organizzato un suicidio di massa.

Mari, giornalista del Secolo XIX, ha ricostruito l'intera vicenda del Panzerbär, dopo averne constatato una totale assenza di letteratura (salvo sporadiche citazioni nei manuali di storia del giornalismo berlinese in lingua tedesca, per altro non rigorose nella datazione delle uscite del giornale).

«La propaganda nell'abisso» dimostra l'effettiva direzione editoriale di Goebbels, come del resto emerse da alcuni interrogatori; citando le persone e i soldati che contribuirono alla sua realizzazione, descrivendo l'opera giornalistica e tipografica, ricostruendo l'utilizzo di due diverse «sedi» operative e descrivendo il sequestro dell'ultimo numero da parte dell'Armata Rossa.

Nel libro è raccolta e riprodotta l'intera produzione del Panzerbär, grazie alla consultazione di remoti archivi di Stato a Berlino e alla documentazione dell'Istituto tedesco per il marxismo e il leninismo dell'ex Ddr.

C'è anche il numero uno, solo fotografato, sparito dai radar dagli studiosi del nazismo e non considerato dagli storici del giornalismo. Dopo una breve panoramica sul modello di propaganda deviata praticata dal Panzerbär, Mari confronta la realtà storica degli avvenimenti bellici, politici e personali nella Berlino assediata e la finzione giornalistica del quotidiano.

Un capitolo per ogni giorno dal 22 al 29 aprile, con la ricostruzione sincera della battaglia e la traduzione criminale e paranoica del Panzerbär. Un parallelo tra realtà e propaganda da cui emerge la portata mistificatoria degli ultimi giorni del Terzo Reich, con Goebbels, il ministro imperiale diventato Difensore di Berlino, impegnato in prima persona nella costruzione di un colossale e criminale sdoppiamento della storia.

D'altra parte, Goebbels aveva giurato a Hitler che avrebbe «costretto ogni singolo abitante di Berlino, uomo o donna che fosse, a battersi all'ultimo sangue per guadagnare le ore e i giorni che servivano per l'arrivo dell'armata di Wenck».

Un'armata fantomatica, già paralizzata, annientata o in ritirata nel momento stesso in cui venivano scandite quelle parole. Sono tradotti e analizzati gli articoli più importanti e gli editoriali più pesanti, l'intera narrazione dell'ultima settimana di guerra, costata 100.000 vittime nella sola battaglia di Berlino.

Si riconosce la fanatica mano di Goebbels, agitatore e sostenitore fino all'ultimo della guerra totale. Una serie di ricostruzioni che, una notte, in una drammatica riunione nel bunker, convinsero il generale Helmut Weidling ad attaccare il ministro della Propaganda: «La situazione è disperata: abbiamo solo sei tonnellate di viveri e una ventina di panzerfaust. Io so che i soldati combattono valorosamente. Purtroppo, questo valore viene eccitato da speranze che non sono più realizzabili. Si tratta di un commentario, il Panzerbär. Ciò che è detto là, è semplicemente una menzogna».

Così Berlino diventa l'istrice a difesa dell'Europa, contro i «cagnacci bastardi» che la assediano, forti solo in gruppo ma già pronti a scannarsi per il boccone prelibato. Nella sua stralunata visione della storia, Goebbels firmò il suo estremo editoriale: «Fino all'ultimo respiro».

E dice: «A Berlino tra le macerie fumanti della capitale del Reich si decide il destino dell'Europa e da questo, tu, camerata, non puoi separare il tuo. Pensa a questo, stringi i denti, resisti, sempre fedele al tuo giuramento e alla responsabilità che hai nei confronti dei tuoi successori, di tua madre, tua moglie e dei tuoi figli. La sentenza del destino è davanti a te, non puoi sottrarti e neanche rinviare la sua esecuzione».

Fino a sovverte la Storia, fino a sostenere che la guerra era stata voluta dalla congiura bolscevica ed ebraica. Questo ultimo respiro restò sospeso nell'aria insalubre di Berlino, resa densa dal fumo delle macerie. Quando viene distribuita, l'edizione del 29 aprile venne abbandonata e requisita dai sovietici, ormai pronti ad agganciare i loro artigli sul Reichstag.