La Stampa, 10 dicembre 2021
Le anime perse del Gruppo Misto
Servono molta memoria e un grosso taccuino per gli appunti. Perché tra le anime perdute del gruppo misto, nel girone dantesco di chi è andato, è stato cacciato o semplicemente è rimasto solo – o quasi – si rischia di smarrirsi. Di perdersi in un una selva oscura di andirivieni, cambi di gruppo e di “componente”, promesse di matrimonio mancate e giravolte da far perdere l’equilibrio a un funambolo.
Non si tratta di coloro che «mai non fur vivi», per restare a Dante, tutt’altro. Perché in vista del Quirinale le 113 anime del Misto – 66 alla Camera, 47 al Senato, le più numerose di sempre – si agitano in realtà moltissimo. Tentano di unire le forze, elaborano strategie, sono a caccia di esponenti aggiuntivi per arrivare al numero fatidico: 10 a Palazzo Madama, 20 a Montecitorio, per poter avere un gruppo autonomo e contare di più. Ma ci sono anche quelli che giocano in proprio, restii a qualsiasi unione, ma pronti a intese dell’ultimo minuto. Il Caronte ideale è chi nel Misto si trova quasi per caso perché ha un’appartenenza precisa, il centrodestra, e con il centrodestra voterà quando si tratterà di dare la sua preferenza per il Colle. Maurizio Lupi, ex ministro e parlamentare di lunghissimo corso, spiega che ogni mossa dei compagni di viaggio rischia di rivelarsi vana: «Potrei dire che le Vie per il Colle sono infinite, ma la verità è che ce n’è solo una e il resto sono sceneggiate». Se c’è una persona del magma incandescente del Misto con cui Mario Draghi di solito parla, quella è Lupi. Chi meglio di lui può quindi spiegare che dipende tutto da quale sarà lo schema: «Se il metodo è l’elezione di tutti, i piccoli gruppi non conteranno nulla, né i franchi tiratori potranno essere una minaccia. Con un’intesa di questo tipo tra i partiti, le operazioni di palazzo non vanno da nessuna parte». È forse per questo, che Enrico Letta ha aperto ieri alla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni per l’elezione del prossimo capo dello Stato. In questo modo, il segretario Pd riuscirebbe a disinnescare anche le mosse di Matteo Renzi e il suo avvicinamento a Coraggio Italia di Giovanni Toti e Gaetano Quagliariello. Ma dovrà superare i dubbi interni al suo stesso partito. Non è quindi detto che l’operazione unitaria – il cui solo comun denominatore potrebbe essere il passaggio al Quirinale dell’attuale presidente del Consiglio – vada in porto. «Se così non fosse – spiega ancora Lupi – il gruppo Misto diverrebbe uno snodo nevralgico. E non bisogna tanto guardare a noi, che siamo schierati, ma ai singoli. Ricordando che 8 presidenti su 13 sono stati eletti a maggioranza e poi sono diventati presidenti di tutti. Non ci sarebbe nulla di male, e in questo caso tra i favoriti ci sarebbe Silvio Berlusconi». Non per passare, probabilmente, ma per essere tra i più votati, di sicuro.
Guardiamo ai singoli, quindi. Li scoviamo in Transatlantico, dove Nicola Acunzo, ex M5S fuoriuscito per le restituzioni mancate, vive sprofondato su un divanetto appena fuori dall’aula. O dove passa frettoloso Alessio Villarosa, altro ex grillino che non ha scelto nessuna componente- né Maie, né FareEco, né tanto meno Alternativa c’è, ma è in giro per l’Italia con l’ex deputato M5S Alessandro Di Battista e dice sospettoso che lui – gli altri – li sente «nei corridoi mentre dicono che il voto è segreto» e insomma, «sono pronti a fare scherzi». Il deputato siciliano pensa al contrario che bisogna lanciare una proposta per mettere in difficoltà gli altri partiti: «Alessandro aveva parlato di Pier Luigi Bersani, perché no? Di certo noi – e per noi intende altri “apolidi” come lui – non potremmo votare né Draghi né Berlusconi». Che il leader di Forza Italia nel Misto speri, non è un mistero. «Per ora non c’è stato niente», racconta in Senato Emanuele Dessì, anche lui fuori dai 5 stelle e ora unico componente del Pci. «Siamo io qui e Marco Rizzo fuori. Ma non confondeteci con Rifondazione comunista, quella componente l’hanno formata Paola Nugnes ed Elena Fattori – senatrici ex grilline come lui – e poi c’è Matteo Mantero, con Potere al popolo, ma io con quella sinistra fricchettona non ho mai avuto a che fare, sono sempre stato cossuttiano». Dessì dice che di abboccamenti veri, da parte di Forza Italia, non ce ne sono stati: «Al limite ci gridano De Gregorio, De Gregorio, davanti alla buvette». Poi svela: «Quelli di Coraggio Italia non sono ancora riusciti a trovare il decimo per formare il gruppo autonomo, cioè lo avevano trovato, ma poi abbiamo votato la decadenza perché era quell’Adriano Cario accusato di brogli». E quindi, «forse ora Renzi che vuole fare la federazione dei gruppi gliene presta uno, ma non è sicuro». Niente è certo perché – dice “Radio Parlamento” – Giovanni Toti e Luigi Brugnaro hanno litigato di nuovo, il secondo è pronto a dare il suo sostegno a Berlusconi e dell’operazione ago della bilancia non vuole più saperne. E poi, anche i parlamentari di Italia Viva non sono così convinti dell’operazione giocata a destra: alcuni l’hanno letta solo sui giornali e pare, dicono di Teresa Bellanova e Gennaro Migliore, siano pronti a mettersi di traverso nella riunione convocata dal capo il 17 dicembre. Non è solo tra gli ex grillini e dentro Italia Viva, che le idee sono confuse. Per capirlo, tornando al Misto, basta guardare a certi percorsi dei cosiddetti battitori liberi: il deputato Stefano Benigni, ad esempio, promotore finanziario, aderisce a Forza Italia per poi fondare Cambiamo insieme a Toti. Ma dopo, non segue il governatore della Liguria in Coraggio Italia e decide anche di uscire dalla componente di Maurizio Lupi Noi con l’Italia. Resta tra i non iscritti. Come i tanti «che son sospesi». In attesa di capire se avranno ancora una chance, e se a donargliela potrà essere la lotteria del Quirinale. —