la Repubblica, 10 dicembre 2021
La Nuova Zelanda vieterà il fumo ai nati dal 2008
Fumare fa male, ovvio. Ma è giusto togliere alle future generazioni, come potrebbe decidere a breve la Nuova Zelanda, il diritto di farlo, nemmeno a casa propria, paragonando le sigarette all’uso di droghe illegali? E poi: è una misura discriminatoria?
L’idea di Wellington non è nuova. Da tempo si parla di “TFG2000”, dove Tgf sta per “Tobacco Free Generation”, ovvero generazione senza tabacco per coloro che sono nati dopo il Duemila. In passato ne hanno discusso Singapore, lo stato australiano di Tasmania, la britannica Guernsey e miliardari americani come Michael Bloomberg hanno sostenuto la “Campaign for Tobacco-Free Kids”, con un unico scopo: rendere le generazioni future libere da “bionde” e tabacco.
Ora è l’obiettivo anche della Nuova Zelanda. Che ieri ha annunciato un disegno di legge, che potrebbe essere approvato all’inizio dell’anno prossimo dal partito laburista al governo, per cui per i nati dopo il 2008 sarà impossibile acquistare, procurarsi e fumare legalmente tabacco. Il piano: dal 2024 si limiterà massicciamente il numero di esercizi commerciali che potranno vendere sigarette, da 8mila a 500. Dal 2025 si ridurrà sensibilmente la quantità di nicotina nel tabacco sul mercato, per ridurre la dipendenza. Infine, dal 2027, tutti coloro con un’età uguale o inferiore a 14 anni non potranno più comprare tabacco. E il divieto rimarrà a vita: un 60enne, nel 2073, avrà le stesse restrizioni. Mentre chi avrà 61 anni, potrà continuare a fumare.
Discriminatorio? Karen Chhour, portavoce del partito di destra neozelandese Act, la pensa così e attacca il nanny state, ovvero lo “Stato balia” dei laburisti (metafora spesso usata da Boris Johnson contro la Ue), spiegando che il governo neozelandese vuole «cambiare il comportamento delle persone a livello ingegneristico. Fumare fa male, ma qualcuno lo farà sempre». «Inoltre», nota in un comunicato il produttore di sigarette British American Tobacco, «il proibizionismo incentiverà il mercato nero e l’illegalità, rendendo il tabacco ancora più pericoloso per la salute».
Il governo della premier Jacinda Ardern lo sa bene, perciò inasprirà ancor più i controlli alle frontiere. Per il resto, l’esecutivo rigetta le accuse di discriminazione: «È una questione di salute pubblica», spiega la viceministra alla Salute neozelandese Ayesha Verrall che supervisiona l’operazioneSmokefree, in lingua maori Aotearoa. Al momento in Nuova Zelanda l’11,6% della popolazione over 15 anni fuma, ma questa proporzione sale addirittura al 26% nella comunità indigena dei Maori. In tutto 5mila persone all’anno muoiono per il fumo nel Paese. L’obiettivo è di ridurre il numero di fumatori al 5% della popolazione nel 2025, per poi azzerarlo nei decenni a venire.
Il regno di Bhutan, per esempio, ha vietato la vendita di sigarette a tutte le età già dal 2010. La Nuova Zelanda farà lo stesso, ma in maniera progressiva. Negli anni, gli avvocati di questo duro approccio contro il fumo si sono spesso appellati all’utilitarismo di Jeremy Bentham e John Stuart Mill, per cui conta il bene per la collettività e non «l’egoismo di scelte individuali» slegate dalle conseguenze sociali. Qualche anno fa, uno studio di Yvette van der Eijk dell’Università di Singapore e Gerard Porter di quella di Edimburgo notava come misure del genere non vanno contro i diritti umani o l’etica individuale perché proteggono la salute collettiva, come sottolineato dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo e anche da una sentenza dell’alta corte britannica nel 2008, per cui il fumo non è un diritto umano, in qualsiasi luogo esso si pratichi.