il Fatto Quotidiano, 9 dicembre 2021
Il Nyt svela Algo101: l’algoritmo che crea l’ossessione Tik Tok
C’è una credenza dietro l’imperscrutabilità degli algoritmi che governano i social network, ovvero dietro quei sistemi che fanno in modo che quando apriamo Facebook, Instagram o Twitter vediamo una determinata selezione di contenuti e non altri. La credenza è che siano particolarmente intricati e complicati, una matassa di formule matematiche e istruzioni che si nutrono dei nostri dati. Tecnicamente è così, ma quando si riduce un algoritmo alle sue manifestazioni essenziali, sopravvivono quasi sempre solo quattro o cinque criteri, fondamentali, capaci di influenzarli e di tracciarci con precisione.
Nei giorni scorsi il New York Times è entrato in possesso di un documento interno di Tik Tok, il social network cinese che da anni sta monopolizzando l’attenzione dei giovanissimi e che, nato come la piattaforma per lip sync sulle canzoni, oggi è amata da ogni tipo di creativo perché mette a disposizione e unisce musiche, effetti, facilità di montaggio dei video e apparente equità nel raggiungimento del ‘pubblico’. Il testo, dal titolo “TikTokAlgo101” è stato redatto da un team di ingegneri a Pechino ed è destinato ai dipendenti “non tecnici” per spiegar loro come funziona l’algoritmo che cerca di tenere incollati gli adolescenti alla app.
Di fatto, Tik tok è più una piattaforma di intrattenimento che di socializzazione, i giovanissimi ne guardano i video come gli adulti fanno con la tv, ma passivamente perché si affidano alla casualità di un palinsesto – la sequenza che possono scorrere – che è perfettamente cucito sulle loro preferenze. Non hanno il telecomando, ma possono cambiare video con il pollice. Ma come vengono profilati questi interessi? Con pochi indicatori.
Tik Tok, a quanto pare, tiene conto dei “Mi piace” e dei commenti che gli utenti lasciano, quindi delle reazioni attive. Inoltre, conta il tempo di permanenza su un certo tipo di video rispetto ad altri: è uno dei punti più delicati perché si rischia di far entrare l’utente in una bolla informativa di contenuti simili che risuonano e si ripropongono tanto virtuosi e innocui (se ti piacciono gli animali avrai cento video di animali) quanto dannosi e pericolosi come nel caso di istigazione all’odio, di violenza, disturbi alimentari, pornografia: nonostante i tentativi e le soluzioni per depurare le piattaforme da queste derive, i social hanno infatti ancora molto da fare per riuscirci davvero. L’obiettivo dichiarato dell’azienda è aggiungere ogni giorno utenti attivi. Per farlo punta su due elementi: la “ritenzione”, ovvero il ritorno dell’utente sul social, e il tempo che vi trascorre. Creare quindi compulsività e dipendenza. Così Tik Tok si fa pure furbetto: attribuisce minor valore ai video in cui si chiede esplicitamente alle persone di mettere “Mi piace” per favorire magari quelli in cui il linguaggio è più criptico e sfumato o che abbiano dei particolari risvolti culturali così che gli utenti possano guardare più video dell’autore, approfondire e magari pure fidelizzarsi al creatore e alla piattaforma stessa.
Ma Tik Tok è pure previdente: “Che accade se a un utente piace un video, ma l’app continua a proporgli lo stesso tipo? Si annoierebbe rapidamente e chiuderebbe l’app” scrivono. Così l’algoritmo tiene conto anche dell’eventuale eccesso di esposizione ripetuta allo stesso autore o allo stesso tag e in caso, ogni tanto, inserisce qualche video diverso. Infine, Tik Tok è un’azienda e mira ai profitti. Dunque conta molto anche la monetizzazione: potrebbe favorire in parte la circolazione dei video più redditizi (gli utenti possono pagare per aumentarne la visibilità e la circolazione) per Tik Tok stessa.
Gli analisti interpellati dal Nyt hanno rilevato che, sulla base dei dettagli forniti dal documento, ci sono davvero pochi elementi di novità: Tik Tok è un social come gli altri e segue le stesse regole. Ci sono tutti gli elementi tipici: apprendimento automatico con grossi volumi di dati, utenti altamente coinvolti e un’impostazione in cui gli utenti sono disposti a consumare contenuti consigliati algoritmicamente. Meglio se in modo ossessivo e bulimico.