La Stampa, 9 dicembre 2021
In Israele i telefoni kasher
C’è ben altro a cui pensare, eppure per la delegazione di rabbini ortodossi che qualche giorno fa ha chiesto udienza a Yoaz Hendel, ministro delle Telecomunicazioni del governo israeliano, la faccenda è talmente cruciale che hanno chiamato in causa il rischio di un nuovo «olocausto» – o più semplicemente un infausto salasso demografico nei loro ranghi di osservanti.
La questione risale all’ingresso in Israele, come nel resto del mondo, dei telefoni cellulari, che in questo Paese hanno raggiunto prestissimo una diffusione capillare. Da sempre, cioè da quando esistono i telefonini, gli ebrei osservanti possono attivare un piano tariffario dedicato perché l’uso del device è di per sé vietato il sabato e nelle feste. Anche le compagnie di assicurazione auto hanno un’offerta di questo tipo, che esclude la copertura quando secondo la legge religiosa è vietato spostarsi. I religiosi garantiscono di non usare né telefono né automobile nei giorni festivi.
Le cose si sono complicate con l’avvento dello smartphone e delle sue potenzialità di navigazione. I rabbini della comunità ultraortodossa d’Israele sono corsi ai ripari anni fa con un rigoroso comitato di controllo che impone ai fedeli l’uso di una linea «kasher», cioè solo con determinati e tracciabili prefissi. Lo smartphone è, nella loro ottica, un pericoloso affaccio sull’idolatria e su una miniera di informazioni e immagini inammissibili. Internet e televisione sono banditi dalle case ultraortodosse. Israele è un Paese complesso, ricco di identità in conflitto fra di loro senza bisogno di entrare in quello che è il conflitto per antonomasia, quello arabo/ebraico: c’è una Tel Aviv che è la città più gay friendly del mondo e dell’innovazione digitale, dove però a pochi chilometri dal centro si trova una delle aree a più alta densità demografica del Medio Oriente, popolata di ultraortodossi vestiti di nero, donne con il capo coperto e frotte di bambini.
Da quando esistono gli smartphone il comitato rabbinico per le questioni di telecomunicazioni li ha tassativamente vietati e ha proibito la portabilità dei numeri con i prefissi kasher. Ma ora, a quanto pare, le cose stanno cambiando: il ministro sta approntando una riforma che consentirà a tutti di cambiare operatore senza restrizioni. Questo farà sì che i numeri kasher non saranno né bloccati né tracciabili: nessuno, neanche i rabbini, potrà più avere la certezza che l’utente stia usando un telefono kasher – cioè senza accesso alla rete internet e a gran parte delle applicazioni di comunicazione. Nessuno potrà più fermare il «discreto» passaggio a piani tariffari non kasher di osservanti apparentemente insospettabili. Questa infausta prospettiva ha spinto l’autorevole delegazione a compiere un passo decisamente irrituale per i rappresentanti di una comunità tanto composita quanto diffidente delle istituzioni nazionali e di governo – come si è visto anche nella ritrosia che ha avuto di fronte alla campagna vaccinale in Israele. Quello, per l’appunto, di rivolgersi al ministro per chiedere di bloccare questo passo. Che viene non a caso alla luce dell’esperienza pandemica, quando i telefonini sono diventati uno strumento più indispensabile che mai. Se già prima la pubblica utilità della rete cellulare era per gli israeliani evidente – tutti hanno una app che segnala il lancio di missili da Gaza o dal Nord e indica all’utente il rifugio più vicino e i secondi che ci metterà a raggiungerlo -, con la pandemia questa funzione si è moltiplicata: Israele ha tenuto sotto controllo il Covid con il tracciamento dei contatti, la vaccinazione precoce e l’invenzione del «tav yaroq», che in Europa è diventato «green pass».
Questo e altro motivano dunque la riforma volta a dare alla clientela ultraortodossa gli stessi diritti degli altri utenti avviata dal ministro Hendel, che non pare turbato dalle rimostranze del comitato rabbinico. La libertà, di navigazione così come di pensiero, passa anche e forse soprattutto dall’innovazione tecnologica.