La Stampa, 9 dicembre 2021
La via per il Quirinale raccontata da Marco Follini
Marco Follini, che da vicepresidente del Consiglio è stato protagonista (assai critico) della fase più acuta del "berlusconismo", è chiaro nel descrivere il rischio col quale il Paese si sta avvicinando all’appuntamento del Quirinale: «C’è un’attenzione spasmodica in queste settimane e si capisce perché: siamo dentro una crisi di sistema e la postazione del Quirinale è diventata cruciale. O si capisce che per il Paese è un’occasione per risalire la china o non resta che incrociare le dita». Eppure, Mario Draghi si ostina a non scoprirsi: troppo coperto? «Ma non si può pensare che lui sia il banditore di se stesso e della sua campagna presidenziale! La scelta spetta ai partiti». Classe 1954, parlamentare per quattro legislature, componente per diversi anni dell’ "onnipotente" Direzione della Dc, Marco Follini è stato segretario dell’Udc e vice di Berlusconi a palazzo Chigi tra il 2004 e il 2005, prima di dimettersi per le difficoltà di rinnovare la coalizione di centro-destra.
Una costante delle scalate al Quirinale: mai nessun cavallo di razza, Fanfani, Moro, Andreotti, ma neppure D’Alema, Prodi e Berlusconi, è mai diventato Presidente. Perché?
«La storia della Repubblica è fondata sulla diffidenza verso un’eccessiva concentrazione di potere. Questo ha fatto sì che per il Quirinale venissero scelte figure non troppo ingombranti. Da questo punto di vista la nostra è una Repubblica preterintenzionale! » .
Cioè i Presidenti finiscono per fare cose diverse da quelle per le quali sono stati eletti? Anche le chiacchiere di questi giorni sul profilo del prossimo presidente rischiano di finire in fumo?
«Nel 1985 il nome di Francesco Cossiga come possibile, futuro presidente della Repubblica venne fatto durante una cena a casa Agnes alla quale erano presenti il segretario della Dc Ciriaco De Mita e il segretario del Pci Alessandro Natta. Due forze politiche che nella fase finale della presidenza Cossiga avevano maturato un’altra opinione sul capo dello Stato. La maggior parte dei presidenti, eletti sulla base del loro basso profilo, ne hanno acquisito uno molto più marcato. E alcuni grandi elettori si sono poi pentiti del candidato sul quale avevano scommesso. Fu così anche per Craxi con Scalfaro, così probabilmente è stato per Renzi con Mattarella. Il Quirinale si anima e vive di vita propria: non è la conseguenza delle manovre del giorno prima».
Stavolta partiti deboli e un solo cavallo di razza: rischia di non farcela neppure Draghi?
«Jorge Luis Borges diceva che avrebbe voluto essere cittadino svizzero perché lì non si conosceva il nome del Presidente. Se dessimo retta a Borges, si potrebbe eleggere chiunque, ma il Quirinale non è la Svizzera: dobbiamo avere la cura di scegliere la personalità che riverbera il maggior credito sul Paese. Dal mio punto di vista, Mario Draghi».
Berlusconi è stato determinante solo nel 1999: contribuendo ad eleggere Ciampi, non esitò a dividersi dalla Lega. Bis in vista?
«Ricordo che nel maggio 1999 Berlusconi convocò i capigruppo del centrodestra e si disse convinto che Ciampi fosse la scelta giusta, rammaricandosi che la Lega non l’avesse condivisa. Ma allora Bossi era ancora sulla trincea delle elezioni del 1996: contro gli uni e contro gli altri».
Quel precedente dice qualcosa all’oggi?
«Il grande dilemma politico che abbiamo davanti è questo: se i partiti della maggioranza di governo vanno in ordine sparso all’appuntamento del Quirinale, è difficile che la loro unità si ricomponga il giorno dopo. Allora Berlusconi e Bossi si divisero, ma stavano entrambi all’opposizione. Oggi per Forza Italia e Lega dividersi, stando nello stesso Consiglio dei ministri, è più complicato che allora».
Mattarella, a dispetto delle standing ovation, è fermo nel no al bis, ma diversi Presidenti hanno brigato per restare. Ricordi personali?
«Premesso che i pensieri di Cossiga non erano chiodi fissi, quando venne eletto, riunì a palazzo Giustiniani la Direzione Dc e lesse una dichiarazione commossa con la quale restituiva la tessera. Ai margini della riunione mi disse: "Ho pensato che quando finirò di fare il presidente della Repubblica avrò 63 anni. . " . Come a dire che in lui c’era un’ansia che aveva cominciato a divorarlo già da prima. Forse il picconatore era nascosto tra le pieghe della sua compostezza istituzionale».
Nel 1970 uno sciopero generale accelerò la caduta del governo Rumor: Draghi coglierà il segnale per orientare le sue scelte verso il Quirinale?
«Per la verità gli storici non sono concordi nell’attribuire le dimissioni del governo Rumor allo sciopero generale e tuttavia se ogni fattore di instabilità lo vogliamo filtrare alla luce della contesa per il Quinale, non ne usciamo più. La saggezza di una classe dirigente sta nel concentrarsi sull’ordine del giorno».
De Nicola, Cossiga, Ciampi, Napolitano 2: tutti eletti al primo scrutinio: non serve un "pacchetto" che tenga assieme Quirinale, palazzo Chigi e durata della legislatura?
«Io non metterei troppe cose assieme. Si tratta di scegliere il capo dello Stato, non di ipotecare il prossimo governo né la data del voto. Si fa un passo alla volta. Se si decide tutto assieme, sa cosa accade? Si amplia lo spettro delle differenze».
Lei vede Draghi al Quirinale come riscatto per partiti in crisi di identità?
«Una presidenza Draghi non sarebbe l’espressione della marginalità dei partiti. Potrebbero interpretarla come la possibilità della loro risalita».