Corriere della Sera, 9 dicembre 2021
L’opera lirica multimediale vista in tv
Nella festa della milanesità, nel giorno fausto in cui l’apertura della Scala coincide, per voluta simbolicità, con la celebrazione di Ambrogio, il santo protettore della città, a commentare il Macbeth su Rai1 vengono su due da Roma: Milly Carlucci e Bruno Vespa. Toccherà assegnare loro anche l’Ambrogino d’oro pop. Per carità, nessuna rivendicazione campanilistica, ma una semplice constatazione o forse il ricordo dei tempi in cui gli Elio Sparano sapevano gestire da Milano la Prima della Scala e anche il prima della prima. O il ricordo delle prime pagine dell’Anonimo lombardo dove c’è una dichiarazione di vero amore per il mondo dell’opera, che si esprime – come spiegherà lo stesso Arbasino – attraverso «il revival epocale del gusto per l’opera lirica, e dei suoi libretti allora disprezzatissimi, come se non avessero fornito un repertorio di citazioni appropriate in ogni situazione per la nostra cultura borghese ottocentesca: con la stessa funzione del Romanzo e della Poesia nelle altre società europee».
Poi, nel corso della diretta, Bruno Vespa confonde un baritono con un tenore ma intervista Alberto Mattioli; sul Tg3 Daniela Cuzzolin maritata Oberosler porge il microfono ad Arturo Artom. Trovare la differenza. Ubbie davanti al televisore, niente di più. La vera differenza fra Scala e casa è che la regia di Livermore si esalta nello splendore dello schermo domestico. È sempre un azzardo «modernizzare l’antico», mettere i grattacieli al posto delle foreste e gli ascensori al posto dei troni dorati, ma qui è un trionfo di nuove tecnologie, di microcamere sulle teste dei cantanti, di telecamere di sorveglianza usate in modo espressivo, di ledwall che in teatro si perdono.
Anche la regia di Arnalda Canali (supportata dal Centro di Produzione Tv Rai di Milano, sia chiaro) ci mette del suo, con inquadrature che sfidano la convenzionalità. È un Macbeth multimediale, la musica al servizio dell’immagine?