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 2021  dicembre 09 Giovedì calendario

Intervista a Chailly dopo la Prima alla Scala

Maestro, è soddisfatto dei dodici minuti di applausi di ieri? A molti commentatori l’orchestra è apparsa in grande spolvero. 
«Sì soddisfatto – risponde Riccardo Chailly —. Abbiamo svolto un grande lavoro. Ho percepito un’aderenza al mio pensiero da parte di orchestra e coro, che è il terzo elemento al quale Verdi richiamava». 
Il coro ha corrisposto bene l’orchestra?
«Sì, e con la disposizione a gruppi la sincronizzazione era complicata. Con Alberto Malazzi, direttore del coro, abbiamo fatto un bel lavoro di team». 
Veniamo ai cantanti. Salsi?
«Per lui è il vertice di una carriera conquistata con studio e applicazione e con aderenza fortissima allo spettacolo. Sapeva di confrontarsi con i grandi del passato. È stato il suo Macbeth con personalità, ricchezza di colori e alto livello interpretativo». 
Abdrazakov e Meli erano quasi un lusso... 
«Un poker d’assi, un privilegio averli per quei ruoli, ma erano amici e si sono prestati». 
Sulla Netrebko qualcuno ha mugugnato sulla cabaletta d’ingresso. 
«È stata straordinaria dall’inizio alla fine, ha lavorato con attenzione e scrupolo. Mi chiedo chi sarebbe in grado di uscire in palcoscenico con una cabaletta di quel genere a freddo e riuscire meglio! Ha cantato magnificamente anche se in tutti noi è implicita una parte di tensione per lo sguardo planetario che abbiamo addosso». 
Diversa dalla Shirley Verrett, che lei ha diretto in un film nel ’97. 
«Prima ho avuto la Verrett, che ha portato uno scavo abbadiano. Partendo da mezzosoprano l’impostazione timbrica è diversa. Ma soprano e mezzosoprano sono entrambi coerenti con il tipo di tessitura del Macbeth». 
Cosa vi ha detto il presidente della Repubblica?
«Era colpito dal grande livello interpretativo di tutti». 
E lei cosa gli ha detto?
«Che ho apprezzato la sua presenza con noi, compreso il Requiem di Verdi in Duomo che fu la ripartenza. Poi gli ho detto è raro un bis alla Scala, come hanno chiesto a lui… e si è messo a ridere». 
Lei sarebbe per un bis a Mattarella? 
«Tutti abbiamo un pensiero positivo su di lui, ma sia una sua scelta libera». 
La diretta su Rai1 è stata seguita da 2 milioni e 64 mila persone (10,5% di share). Fuortes si è detto molto soddisfatto. 
«Un apprezzamento importante: la “prima” nasce dall’accordo tra Scala e Rai. Ieri c’erano molte nazioni in diretta. Vuol dire che l’idea dell’opera in tv funziona anche con Macbeth, che non è così popolare presso il grande pubblico. Questo ascolto dà senso alla continuità del lavoro con la Rai». 
Per alcuni la regia era un po’ sbilanciata verso la tv. Livermore ha lanciato un nuovo genere: la videolirica? 
«No, non penso che sia un nuovo genere. È stata una costruzione, come negli anni precedenti. Ci sono stati incontri, scontri, discussioni e traguardi raggiunti. Lui voleva due fronti, uno televisivo e uno teatrale: al Piermarini l’essenza dello spettacolo, in tv una visione complessa. Chi viene in teatro ha emozioni diverse che in tv. Questo spettacolo si può vedere e apprezzare due volte». 
Lo streaming potrà condizionare le regie?
«Non deve farlo. Lo streaming è utile per non perdere lo spettacolo; ma la diretta tv Rai è diversa perché ha il fascino e brivido dell’imprevedibile». 
Sì, ma può condizionare i registi? 
«Il teatro deve rimanere in teatro, con i suoi canoni, ma rinnovare l’immagine teatrale con nuove idee drammaturgiche è corretto». 
Il «Trittico giovanile» di Verdi è finito: risultati? 
«Giovanna d’Arco e Attila sono state opere importantissime per comprendere la crescita di Verdi. Con Macbeth si arriva alla rivelazione del genio assoluto, che dischiude le porte dell’ignoto. Macbeth ha un quadro sinfonico con dinamiche e colori a un punto tale che si ritrova in Otello 22 anni dopo. Nel passaggio delle tre opere e nel lavoro di questi anni l’orchestra ha toccato vertici assoluti. A me fa un grande piacere, ci divertiamo molto a fare musica così».