Corriere della Sera, 9 dicembre 2021
Biografia di Paola Perego raccontata da lei stessa
Paola Perego, che cosa vuol dire costruire una solida carriera televisiva come la sua combattendo contro gli attacchi di panico?
«Una fatica. Perché la televisione è continuo confronto con qualcuno che ti guarda, a volte ti giudica, di certo nota ogni dettaglio. Ne sono sempre stata consapevole e forse per questo, oggi, mi considero una donna fortunata».
Lei ha raccontato di averne sofferto dall’età di sedici anni, praticamente da quando ha iniziato il suo percorso in tv. Lo ha scritto in un libro, «Dietro le quinte delle mie paure». Ma come ha fatto a nasconderlo per tanto tempo?
«Perché per anni la gente ha visto una persona in apparenza vivace, ironica. Ma io ero in una bolla. Prendevo delle medicine e non parlo di quelle che si prescrivono oggi, che sono molto più leggere. Parlo di medicine che, pur di allontanare la sensazione di panico, appianavano tutto. Piallavano ogni cosa, comprese le emozioni. Per esempio, non riuscivo più nemmeno a piangere. Molti dei miei ricordi sono offuscati, come dentro una nuvola. Compreso il mio matrimonio con Andrea (Carnevale, ndr). I critici dicevano che ero troppo fredda e distaccata, ma oggi posso dirlo: prendevo benzodiazepine».
Chi non l’ha mai provato non può capire, vero?
«No, non può. Perché i sintomi, dalla sudorazione fredda alla lingua gonfia fino al formicolio del corpo sono solo una parte dell’attacco di panico. La cosa più difficile da spiegare è la sensazione di essere a un passo dalla morte. Avevo sedici anni quando la provai per la prima volta e prima che iniziassi il percorso di guarigione, con l’analisi, l’ho sperimentata tante volte».
Lei, dopo gli inizi da modella, ha cominciato subito con la televisione. C’è stata una volta in cui ha rischiato di non andare in onda?
«Sì, la ricordo bene. Ero incinta di Giulia, la mia prima figlia, e conducevo un programma su Tmc, dal titolo Quando c’è la salute. La gravidanza mi impediva di prendere troppe medicine e una notte, prima della diretta, non chiusi occhio. Il giorno dopo chiesi a una mia cara amica, Patrizia, di inventare per me una scusa perché ero sicura che non ce l’avrei fatta ad andare in onda. Lei ebbe un’idea: chiamò la psichiatra che mi seguiva, la convinse ad annullare tutti gli impegni, a piazzarsi nel mio camerino e ad assistermi ad ogni pausa. Così andai in onda».
Come ne è uscita?
«Con tre percorsi differenti di trattamenti di psicologia comportamentale».
Più di dieci anni di analisi?
«Sì, oltre dieci anni. Ho imparato tanto. Prima di tutto che la fragilità non è una colpa né qualcosa da nascondere. E io ho sbagliato, perché l’ho nascosta per tanto tempo ai miei figli. Avrei dovuto mostrarmi per quella che sono, ma erano altri tempi: se andavi dal medico e gli elencavi i sintomi, quasi certamente lui diceva che avevi un esaurimento nervoso. E così nascondevo, camuffavo, sedavo. Nascondevo le medicine in camerino, nessuno doveva sapere che da un momento all’altro sarei potuta crollare».
Paola, si avvicina il traguardo dei quarant’anni di carriera, nel 2022.
«Eh sì, ho cominciato come modella a sedici anni, nel 1982. E guardandomi indietro vedo che ho fatto tante cose molto diverse tra di loro. Sono stata la prima donna a fare infotainment, tra le prime a occuparsi di sport in tv. Ho lavorato con “giganti” della televisione, faccio solo due nomi: Sandra Mondaini e Raimondo Vianello».
Ha assistito anche ad un battibecco?
«Sì! Una volta mi presero per uno “stacchetto” ad Attenti a noi due. Raimondo mi disse: “Ma sei sicura di aver fatto le scuole dell’obbligo?”. E Sandra fece: “Guarda che potrebbe essere tua nipote”. Erano meravigliosi: gentili, rispettosi, sempre pronti alla battuta ma professionali».
Però per una donna giovane e molto bella non deve essere stato sempre facile, no?
«No. Una volta, a Mediaset, un dirigente si mise a rincorrermi intorno ad un tavolo. Un’altra volta, in scadenza di contratto, un altro mi propose di andare a cena. Dissi di no e quel contratto alla fine lo ottenni, sì, ma a furia di lunghe e umilianti anticamere».
Dopo una (molto infelice) puntata di «Parliamone... sabato» su RaiUno, nel 2017, nella quale si mettevano a confronto le donne italiane e quelle «dell’Est», lei è stata accusata di sessismo. La sua rubrica dentro «La vita in diretta» venne chiusa tra le polemiche.
«Penso che quelli siano stati in assoluto i giorni peggiori della mia vita professionale. Per settimane non sono uscita da casa e non solo perché la mia faccia era su tutti i giornali e in televisione, ma perché non sapevo come dire che non era così, che io non sono sessista né tantomeno razzista. Prima di tutto, quella era parte di una puntata già trasmessa da La vita in diretta. E poi quelli che mi hanno accusato più duramente hanno ammesso di non aver visto la puntata! Quella rubrica me la sono rivista più volte: io ho difeso le donne come faccio sempre».
Solo una brutta pagina di televisione?
«Sì, perché per me appoggiare le altre donne è sempre stato un punto fermo. Per esempio, chi ha voluto Mara Venier a La fattoria, in un periodo in cui lei stava lavorando di meno? Io. A La talpa ho voluto Paola Barale come inviata. Chi mi conosce sa bene che non perdo occasione per valorizzare le altre figure femminili».
Però la malignità persistente sul suo conto riguarda ben altro. E cioè l’essere la moglie di Lucio Presta, uno degli uomini di spettacolo più potenti, l’agente dei «big» in Italia.
«Guardi, mio marito ha fatto sei Festival di Sanremo: ho mai condotto io lo spettacolo più importante del Paese? No. Diciamo che se io fossi raccomandata avrei scelto dei ruoli un po’ più in evidenza, no? Anche perché lui, proprio perché sono sua moglie tende a non darmi parti importanti, ma ogni volta preferisce qualcun altro o qualcun’altra. L’altro giorno gli ho detto: “Senti, ma visto che per tutti io sono la raccomandata per eccellenza, a questo punto raccomandami davvero”. Si è messo a ridere».
Vorrebbe dire che l’essere sua moglie l’ha penalizzata?
«Se lo dico io la gente non ci crede».
Da quanto tempo state insieme?
«Mi ha conosciuta che avevo trent’anni. E da allora spesso mi dice: “Non vedo l’ora che invecchi così sarai solo mia”. Be’, ci siamo ormai!».
Un legame molto solido?
«Io conto di invecchiare con lui. È una persona straordinaria, molto diversa da come appare in superficie. Lo sa che ogni mattina di ogni santo giorno mi porta la colazione a letto?».
E le lascia dei bigliettini per casa?
«No, ma scrive delle lettere bellissime, piene d’amore. È di una grande correttezza morale».
Quando vi siete incontrati lei era nel pieno della lotta contro gli attacchi di panico.
«Sì e Lucio è stato molto importante in questa battaglia. Mi ha capito, mi ha dato dei consigli preziosi. Oggi siamo una grande famiglia allargata: i miei due figli, i suoi due e due nipotini, con un altro in arrivo, perché mia figlia Giulia è di nuovo incinta. Oggi, anche grazie a Lucio, vedo le cose con maggiore distacco. Pensi che quando facevo Buona Domenica e andavo in diretta tutto il giorno, spesso alla sera tornavo a casa, mi guardavo allo specchio e non sapevo più chi ero. Perché in televisione il grande rischio è di confondersi con il proprio personaggio. Ci sono persone che restano intrappolate in questa ragnatela per sempre e soffrono quando le due identità vengono separate con la forza».
Paola, mi permetta di insistere: come ha fatto, soffrendo di attacchi di panico, a sostenere la pressione delle regole feroci, dettate dalla competizione, che vigono in televisione?
«Dico una cosa che penso sul serio: tutti quelli che fanno televisione, secondo me, dovrebbero farsi psicanalizzare. Perché il meccanismo è questo: la gente a casa pensa che chi fa tv sia immune da dolore, pena, ansia, male. Ci si trova da soli contro milioni di persone che ti guardano. E che ti restituiscono l’immagine di un personaggio che ti appartiene ma che non sei tu. E allora ti chiedi: ma io chi sono? Capita a molti di avere la sensazione di non esistere se lontani dalla telecamera. Io, anche grazie al percorso fatto per combattere gli attacchi di panico, sono ormai fuori da questo meccanismo. Per fortuna. Adesso riesco a stare da sola, mentre in passato mi capitava di pagare le vacanze a persone nemmeno tanto amiche ma che volevo accanto solo perché l’idea di stare da sola mi terrorizzava. Adesso mi godo la mia casa, mio nipote, la mia famiglia. Lo dico: sto vivendo una seconda giovinezza».
Adesso lei, la domenica, fa coppia con Simona Ventura alla conduzione di «Citofonare Rai 2». Andate d’accordo?
«Perfettamente. Simona fu tra le pochissime persone che, quando mi accusarono di sessismo e discriminazione, si espose pubblicamente con un tweet in mia difesa. In tanti fecero finta di niente, in tanti mi mandarono messaggi privati dicendo che sì, mi appoggiavano, ma non ritenevano di doverlo fare pubblicamente. Simona invece mi difese e si assunse i rischi. La invitai a cena, parlammo a lungo, forse la trasmissione nacque proprio da quelle chiacchierate. Non solo andiamo d’accordo ma abbiamo fatto perdere un bel po’ di scommesse a tante persone».
Cioè?
«All’inizio scommettevano sul fatto che dopo un mese ci saremmo accapigliate. In virtù di un pregiudizio – quello sì, sessista —: che due donne non possono lavorare insieme senza litigare. Io e Simona siamo la smentita vivente».
Qual è un progetto televisivo che le piacerebbe realizzare?
«Una docuserie sui transgender. Credo che si parli poco di loro, delle difficoltà che attraversano. È un mondo che vorrei esplorare».
E che tipo di nonna è Paola Perego?
«Senza scrupoli: faccio il lavaggio del cervello a Pietro e lo convinco che ha solo una nonna, cioè io. Lui da solo mi riempie le giornate».