Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2021
Evergrande ancora a un passo dal default
Chiusura d’anno col brivido per Evergrande, il gigante dell’immobiliare gravato da oltre 300 miliardi di dollari di debiti, pari al 2% del Pil cinese.
La società, in un anno, a partire da febbraio, ha fatto perdere il 20% del valore alla Borsa di Hong Kong, trascinando con sé l’intero settore del mattone prevedibilmente in affanno – a dirlo è Standard & Poor’s -, per i prossimi 6-12 mesi a causa del 10% in meno delle vendite. Tanto che Kaisa è l’altro gigante che in queste ore cerca di non affondare.
L’economia cinese trema davanti a questo rischio sistemico così intenso da spingere la Banca centrale ad allargare i cordoni del credito per la seconda volta nel 2021, con un taglio dello 0,5% dei ratios alle riserve delle banche commerciali operativo già dalla prossima settimana.
Una mossa da circa 188 miliardi di dollari di liquidità che non sarà sufficiente a invertire la rotta.
Evergrande, dal canto suo, nonostante i mille espedienti escogitati -, dalla vendita della divisione gestione immobiliare alla dismissione delle strutture sportive alla cessione dei gioielli di famiglia, cioè gli investimenti della moglie di Hui Ka Yan, il fondatore del gruppo -, ha mancato l’ennesimo pagamento dell’ultimo coupon offshore, ben 82,5 milioni di dollari di cui 41,9 milioni sul debito in scadenza nel 2020, più 40,6 milioni attesi nel 2023.
Entrambe le cedole sono scadute il 6 novembre. Trenta giorni dopo, lunedì scorso, è scattato, invano, il termine di grazia dei trenta giorni per onorare il debito e non è la prima volta che succede.
Hui Ka Yan ha annunciato la creazione di una task force per attenuare ed eliminare futuri rischi, ma si tratta solo dell’ennesimo palliativo perché a questo punto Evergrande è già tecnicamente fallita. Nei fatti, però, la società non può essere lasciata fallire per le conseguenze drammatiche che un crollo senza rete avrebbe per la Cina tutta. Ieri il titolo ha incassato in Borsa, alla chiusura, un magro 1,10% rispetto ai minimi storici raggiunti dalla quotazione nel lontano 2009.
Le autorità della provincia del GuangDong hanno spedito infatti una delegazione nei quartieri della società a Shenzhen per attivare la procedura di ristrutturazione più grande mai messa in pratica nella Cina contemporanea. Perchè in tal modo il partito comunista dimostra di non abbandonare Evergrande al suo destino, anche se la procedura sarà particolarmente lunga e complessa, visto il ruolo cruciale dei debitori stranieri rimasti finora, in molti, a bocca asciutta. I pagamenti di alcune cedole scadute sono stati effettuati inoltre non si sa bene come e da chi, ma questa prassi poco trasparente, è chiaro, non può andare avanti all’infinito.
Il mercato dei bond cinesi, un tempo il più appetibile al mondo per gli alti rendimenti, è in profonda crisi, e anche il Dragon Index del Nasdaq a New York ha perso da febbraio il 50% anche a causa delle nuove e più restrittive regole di Pechino per le quotazioni delle sue Big Tech. Molte società cinesi hanno invertito la rotta guardando come nuovo approdo ai listini di Hong Kong. Ma anche per gli stranieri avere azioni o obbligazioni di Pechino in portafoglio non è più un affare.
C’è, sullo sfondo, il rischio che la crescita cinese, insidiata anch’essa dalle nuove varianti del coronavirus, non regga. Certo, a novembre l’import è salito ancora, del 31,7%, ben oltre l’atteso 19,8% di ottobre e ben al di sopra delle aspettative. Ma è proprio questo il modello di sviluppo basato sull’import-export che, da anni, Pechino vuol superare con riforme strutturali particolarmente pesanti.
Domani saranno resi noti i dati sui prezzi alla produzione e al consumo, sull’aggregato finanziario, i nuovi prestiti e la provvista di denaro circolante. Tutti dati importanti per capire il reale stato di salute della Cina.