il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2021
Cinquanta sfumature di Brass
Goliardico. Ironico. Sessualmente spudorato. Profondo, talmente profondo da volerlo celare con ogni possibile provocazione. È Tinto Brass nell’autobiografia scritta con la moglie Caterina Varzi. Ne riportiamo alcuni passaggi.
Infanzia. “Il mio vero nome è Giovanni. Da bambino trascorrevo molto tempo a disegnare. Un giorno mio nonno Italico disse: ‘Abbiamo un piccolo Tintoretto in casa’. In breve da Tintoretto si passò a Tintino, poi piano piano a Tinto”.
In famiglia. “A tavola mia madre sedeva alla destra di mio padre. Mentre serviva il pranzo, a volte il Papi la attirava a sé e allungava le mani dappertutto. ‘Smettila, ci sono i bambini’ diceva lei con tono di sottile imbarazzo, mentre tentava di dargli schiaffetti… Mia madre aveva un culo bellissimo”.
Pulsioni. “Quando riuscivo ad avvicinarmi alla porta del bagno spiavo dal buco della serratura. Guardare mia madre o le cameriere che facevano pipì e sentire lo scroscio dell’urina divenne un piacere che si è protratto per tutta la vita”.
Contrasti. “Mi mandarono via di casa e cambiarono la serratura perché mi ritenevano un pessimo esempio per i miei fratelli. Avevo diciassette anni… Una mattina ricevetti la punizione peggiore. Io e mio padre uscimmo per prendere il vaporetto da San Marco. Mi lasciò al manicomio maschile, dove rimasi alcuni giorni. Per un fascista come lui ricorrere a punizioni estreme a fini educativi era normale”.
Bordelli. “Quando decisi di cambiare università non fu per ragioni di studio. A Padova avevano chiuso i casini, mentre quelli di Ferrara erano aperti”.
Tinta. “Era una scopatrice intrepida. Provocante e scatenata, ma con la mente lucida. Già allora le piaceva spingere i nostri rapporti sessuali oltre ogni limite, e questo mi provocava erezioni imbarazzanti”.
Sordi. “La collaborazione con Alberto fu incredibile. Era di immensa bravura e lavorava con rigorosa professionalità, senza i capricci di alcuni attori di oggi. Aveva una capacità straordinaria di cogliere tutti gli aspetti psicologici dei protagonisti che interpretava, trasfigurando con la mimica i suoi tratti somatici”.
Mangano. “Mi confidò che non le piaceva essere Silvana Mangano, era convinta di non meritare un successo arrivato per caso. Detestava i suoi seni prosperosi e le sue forme. Fumava una sigaretta dietro l’altra e mangiava pochissimo per evitare di ingrassare”.
La chiave. “Avrei voluto che a interpretare la protagonista fosse un’attrice come la Loren o la Mangano, ma per la scabrosità del soggetto ricevevo risposte negative. Letta la sceneggiatura, Ponti disse: ‘Cos’hai al posto del cervello, sperma?’”.
Sandrelli. “Determinata a fare il film, in un provino si è mostrata senza alcun pudore nature. Il lavoro sul set per lei non fu una passeggiata… Le perplessità le venivano la sera prima di girare, ma sul set si stabilì tra noi un rapporto di fiducia e non si tirò indietro”.
Caprioglio. “Semplice e pragmatica; sapeva che era un’occasione per farsi conoscere… Per sua fortuna la madre, sin da bambina, le aveva insegnato che l’imprevedibile svolge un ruolo decisivo. Per questo, prima che la figlia uscisse di casa, le diceva: ‘Fatti il bidet, non sai mai chi puoi incontrare’… Fu l’inizio di una forte passione. Ricordo la sera della prima di Lulu. Cenammo in fretta, mi disse che doveva raggiungere Gianni De Michelis, poi scomparve per un lungo periodo. Capii dai giornali che era con lui in Sudamerica. A Debora piace sentirsi desiderata. La normalità l’annoia. La rividi a Venezia dopo qualche tempo. Facemmo l’amore in una calle, in fondo alla quale a un certo punto scorsi Bruna, la sorella di Tinta”.
Scambismo. “Può essere un modo per conoscersi meglio, creare complicità… Per me si trattava di una modalità eccitante. Neutralizzava la mia gelosia e dava al rapporto con Tinta una maggiore vitalità”.
Ammirati. “Il nostro primo incontro sarebbe potuto finire in tragedia. Una mattina sul Lungotevere, a un semaforo Tinta tamponò il motorino guidato da Anna Ammirati, che si voltò e disse: ‘Li mortacci! Guarda ’sti stronzi!’. Scesi dalla macchina per scusarmi. Quando mi riconobbe, Anna scoppiò a ridere: ‘Tinto Brass!’. Le domandai, un po’ ammiccando, se si era fatta male da qualche parte… Lei, sorridendo, con erotica complicità rispose: ‘Certo! A momenti mi ammazzavate… ma se mi fai fare un film non vi denuncio’”.
Galiena. “Fu lei a insistere per avere la parte, e chiese con ostinazione di fare il provino. Venne nel mio studio e mi disse che la sua incertezza iniziale derivava dal fatto che aveva pochi peli pubici. Solitamente, nelle scene più erotiche risolvo il problema con un parrucchino. Durante la preparazione del film, ho sempre consigliato alle attrici degli impacchi di olio di ricino sulla fica. Un rimedio di cui sono venuto a conoscenza frequentando i vari casini di Venezia”.
Culofilia. “Prima premessa: il culo è lo specchio dell’anima. Seconda premessa: ognuno è il culo che ha. Conclusione: mostrami il culo e ti dirò chi sei”.
Crisi e rinascita. “Nel 2006 ho attraversato un periodo difficile. È stato l’anno in cui è morta Tinta, il motore della mia vita, il cancellino dei miei dubbi, il pozzo delle mie certezze, l’allucinogeno dei miei sogni e, soprattutto, il fiammifero della mia lussuria… Dopo vissi una profonda solitudine. È stato grazie a lei se ho capito che anch’io so essere un buon compagno di vita. Adesso con Caterina lo capisco sempre meglio… Quando non sarò più in grado di badare a me stesso, Caterina sceglierà la cosa più giusta per me”.