Realizzata da Lux Vide con RaiFiction, è una produzione innovativa, la tecnologia fa entrare gli spettatori nel mondo della protagonista, una detective cieca (nella fiction non viene mai usato il termine “non vedente”). Bernabei sottolinea come sia «un riconoscimento importante: Blanca è una serie italiana che però guarda al mondo. E lo fa attraverso gli occhi di una ragazza che non vede, ma che trasforma la disabilità in un superpotere, creando un mondo pieno di colore e speranza».
Questo è il segreto del successo?
«Fa capire che tutti abbiamo delle mancanze, ma sono proprio queste mancanze a renderci speciali. Andrea Bocelli mi ha detto una cosa bellissima: nel mio cervello percepisco il colore. Alessandro Pesci, il direttore della fotografia, nella serie ha fatto un lavoro fantastico».
La cosa più difficile?
«Trattare temi importanti con leggerezza e umanità. Il premio rappresenta per la Lux anni di lavoro e investimento per capire cosa vuole il mercato italiano e internazionale. La Ferrari è un’eccellenza italiana: ha bisogno degli ingegneri per fare i motori, per noi sono gli sceneggiatori; ha bisogno di Maranello, l’industria. Poi ci sono gli ingegneri dell’aerodinamicità, che sono i direttori della fotografia, il pilota è il regista e la scocca per noi sono gli attori. Mi faccia ricordare, per tutti, Jan Michelini e gli sceneggiatori Francesco Arlach e Mario Ruggeri».
C’è un’industria, ma cosa manca?
«L’orgoglio. In Italia se qualcuno ha successo gli spariamo addosso : dobbiamo crederci di più. Il mondo ci sta guardando, guarda le aziende che realizzano prodotti di altissima qualità: ogni tanto diciamo “evviva”».
Vuol dire che ora la Lux non è più solo “quella di don Matteo”?
«Certo. Ma Don Matteo ci ha insegnato come si fa la lunga serialità, Doc e Blanca dimostrano che sappiamo guardare avanti. Non so quanto dureranno gli incentivi e il tax credit, sono prodotti costosi — Lux guadagna con le vendite nel mondo - ma sono confezionati curando i dettagli. Questo il pubblico internazionale lo capisce».
Volete inaugurare una nuova linea editoriale?
«Resta la stessa, ma si innova rispetto alle esigenze del mercato. Un filo rosso lega i prodotti. Doc è la storia di un medico che perde la memoria, in Blanca una donna strepitosa, cieca, fa di una mancanza la sua forza. Il mercato internazionale vuole personaggi forti».
Al centro c’è un problema e il riscatto. Quanto è importante la consolazione?
«Siamo impauriti, il riscatto è importante. Il concetto di Blanca è che siamo tutti un po’ disabili e dobbiamo lottare per superare un ostacolo. Siamo inadeguati rispetto ai compiti che il mondo ci richiede, ma lottiamo. La bellezza di questi personaggi è che superano le proprie difficoltà. Stiamo già lavorando alla seconda stagione, ma non dimentichiamo che il primo supereroe è stato don Matteo, il detective dell’anima».
Con l’arrivo di Raoul Bova, che sostituirà Terence Hill, cambia tutto .
«Hill è un angelo viaggiatore, Bova un ex carabiniere. Fa ridere perché all’inizio il maresciallo Cecchini (Frassica) non lo riconosce, non vuole dargli informazioni, vuole solo che torni don Matteo. Bova, o meglio don Massimo, è un prete più sanguigno, più uomo, Terence era l’evoluzione di don Camillo».
Come procede il progetto di “Sandokan” con Can Yaman?
«È nelle mani di Scott Rosenbaum, che ha realizzato The shield. Vorremmo far dirigere la serie a un regista americano e a uno italiano, è impegnativa dal punto di vista del budget, sfiora i 30 milioni di euro».
Come la mettete con il Covid?
«In Malesia non ci si può andare e neanche in Indonesia. L’idea è quella di prendere in affitto un’isola per creare la bolla e fare tutto lì. Dopo Natale partono i sopralluoghi e scopriremo che succederà».