La Stampa, 8 dicembre 2021
La scuola non uccida il tema d’italiano
Da almeno vent’anni quella particolare prova scolastica che si chiama tema viene criticata e osteggiata, anche da illustri intellettuali, nonché stravolta e snaturata da riforme, teorie e sperimentazioni varie. Ultimamente, prima dell’emergenza Covid, alla prova di italiano dell’esame di Stato si sottoponevano al candidato circa 8-10 pagine fotocopiate fitte: il testo di un autore, cui seguivano una serie di domande cui rispondere. Poi, con il Covid, il nulla. E ora gli studenti chiedono l’abolizione delle prove scritte. Il ministro, dice, riflette e ci farà sapere.
Chiaro che il tema è stato ucciso. Scrivere un tema non è leggere pagine di altri, più o meno riassumerle e incollarle, e rispondere a una batteria di domande: scrivere un tema è scrivere. Da soli e liberi. Senza griglie, schemi, istruzioni per l’uso e riassuntini premasticati. Fare un tema è quella particolarissima, e unica, attività che consiste nell’esprimere idee proprie, pensieri propri, sentimenti propri, in uno stile proprio. Esprimere. Bellissimo verbo, che viene dal latino ex-premere, premere fuori, premere per far uscire, estrarre. La capacità di espressione è semplicemente questo: saper usare le parole in modo che estraggano, il più esattamente possibile, quel che abbiamo dentro.
Possedere la capacità di esprimere pensieri e sentimenti mi pare importantissimo, per una semplice ragione: pensieri e sentimenti stanno normalmente nascosti in noi, come in uno scrigno chiuso; se non siamo capaci di tirarli fuori, nessuno li vedrà (nemmeno noi), e a quel punto diventerà persino inutile pensare e sentire. E credo che nessuno voglia un’umanità che vive tenendosi chiusi in sé i pensieri e i sentimenti. Saremmo scrigni ambulanti, il cui tesoro rimane per sempre sconosciuto. Fare un tema, per un ragazzo, è mostrare quanto ha studiato, quanto ha letto, meditato, capito del mondo intorno a lui; ma è anche, soprattutto, rivelarsi. Svelarsi, aprirsi (aprire lo scrigno), avere la preziosa possibilità di dire qualcosa di sé fuori dagli schemi. Esattamente quel che fa uno scrittore. Non è poco… (E mi dispiace che gli studenti che ora chiedono di abolire le prove scritte non vedano la bellezza di questa opportunità). Nessun’altra verifica, di nessun’altra disciplina, può fare altrettanto. Infatti il tema non è una verifica come le altre. Non userei mai la parola verifica, per un tema, tantomeno "verifica delle competenze" (se smettessimo di usare queste parole così piatte e deprimenti…!). Il tema mi è sempre parso una felice anomalia, un regalo extra che la scuola fa agli studenti, come dire va bene, ora fai pure le verifiche tecniche sacrosante, di matematica, latino e greco, informatica, chimica; ma prima di tutto fai un tema! Cioè, semplicemente, scrivi! Prenditi questa pausa dalla scuola, questo momento tutto tuo per dire quel che vuoi, quel che sei. Dovremmo chiamarla Scrittura, la prova di italiano, e neanche Prova di scrittura ma "Momento di scrittura".
Credo che una scuola che abolisca il tema, e non lo preveda come prova finale alla maturità, sia una scuola che nega la libertà, che toglie ai ragazzi l’opportunità di esprimere i loro liberi pensieri.
Ma il tema prima di tutto dev’essere libero. Dobbiamo rimettere il tema nella scuola, e liberarlo. Che sia il più possibile privo di costrizioni. Niente griglie, niente schemi preconfezionati, niente risposte a domandine o test. Solo una breve e chiara indicazione dell’argomento: una riga, dieci righe, non di più, quel che una volta si chiamava il titolo. E poi il foglio bianco. Lo so che fa paura a tutti. È un po’ come quando affittiamo casa e la dobbiamo ammobiliare. Ci prende lo sconforto, non sappiamo quali mobili mettere e come disporli. Proviamo, riproviamo. Ma alla fine ci riusciamo, e quella è casa nostra. Il foglio bianco è fondamentale. Scrivere è avere sempre, di continuo, un foglio bianco davanti. È proprio questa la sfida: riempirlo. Se non è bianco, quel foglio, noi siamo inutili, pleonastici: cosa ci stiamo a fare davanti a un foglio che è già pieno?
Scrivere è la cosa migliore che possiamo augurare a un nostro allievo per il suo futuro: non perché diventi scrittore, ma perché, qualunque lavoro deciderà di fare, sia capace di scrivere, possa farlo ogni volta che lo vorrà.
Non è facile imparare a scrivere. Ci vuole tempo (più che corsi di scrittura creativa). Alle elementari non saremo tanto capaci di farlo, e forse nemmeno tanto alle medie. Ma alle superiori forse sì, e da adulti ancor di più. L’uso della parola cresce con noi. È come una pianta. Ma bisogna coltivarla. Bisogna che quell’uso diventi esercizio quasi quotidiano, negli anni, fin dalla più tenera età. È importante che la scuola faccia questo lavoro, che ci creda. Soprattutto oggi, che viviamo tutti irretiti dai social e pensiamo che mandare una battuta su Instagram sia scrivere. La scrittura ha bisogno di distendersi: in frasi, periodi e pagine, dove tutto sia collegato da un filo che si chiama ragionamento. Noi abbiamo spezzato i fili del ragionamento. La scuola deve aiutarci a riprenderli, invece di tagliare quei pochi fili che ci sono rimasti, per esempio abolendo le prove scritte.