Corriere della Sera, 8 dicembre 2021
Dopo Zaki, continuare a lottare per Regeni
Nei giorni del naufragio della civiltà, appena denunciati con forza disperata da papa Francesco, una notizia finalmente diversa, controcorrente, di gioia invece che di ripetuto dolore.
Un sommerso che invece si salva, torna libero, si riguadagna un pezzo inatteso di futuro. Preparati a lasciare la tua cella, Patrick Zaki, figlio sgradito d’Egitto, fratello di tanti studenti italiani che ti hanno adottato. Questione di ore, massimo di giorni, e l’incubo senza fine dove eri precipitato svanirà. O almeno dovrebbe, condizionale d’obbligo quando si ha a che fare con Paesi che non praticano la democrazia ma il suo contrario.
Hai nelle ossa, nei polmoni, negli occhi l’enormità di 670 giorni di carcere infame, senza materasso per dormire, senza medicine per curarti l’asma, senza una colpa da cui difenderti né una ragione per sopportare il fatto che di colpo, un giorno, il 7 febbraio 2020, a neanche 29 anni, ti hanno tolto all’improvviso la libertà. Ma tu hai resistito a tutto. Ti sei aggrappato come un naufrago alla speranza che da qualche parte, specialmente in quell’Italia dove eri stato studente per un master a Bologna, non si erano dimenticati di te. E forse questo ha contato nell’esito clamoroso di queste ore. Forse la mobilitazione di movimenti, università, città, instancabile nonostante le frustrazioni dei ripetuti prolungamenti della tua detenzione preventiva (45 giorni più altri 45 più altri 45), qualcosa ha smosso nei meccanismi ineluttabili e perversi del potere. Forse la richiesta di cittadinanza italiana, avanzata all’unanimità dalla maggioranza del Parlamento che sostiene il nostro governo, ha aiutato una diplomazia impigrita da una ragion di Stato che, in nome degli affari e delle convenienze strategiche, è spesso capace di chiudere un occhio, e anche tutti e due. Forse hanno avuto un peso le parole di Liliana Segre, quando si è spinta fino in Senato a Roma per sostenerti: «Sono qui come nonna di Zaki, e come lui so che cosa vuole dire la porta chiusa di una cella e l’angoscia che possa succedere di peggio quando si apre». E forse, da ultimo, non è stata inutile anche la pressione di alcuni giornali, e il Corriere della Sera è tra questi quando ancora ieri raccontava il tormento dei tuoi genitori e di tua sorella, in attesa come tutto il mondo libero di quello che ti sarebbe successo all’indomani, udienza importante del tuo irreale calvario giudiziario. I fari tenuti accesi sul buio della tua prigione hanno magari impedito che quel buio diventasse impenetrabile. Vero che non è finita. Non è quasi mai finita quando c’è di mezzo un regime che si considera arbitro e padrone delle vite degli altri, dei suoi cittadini, dei sudditi. Dovrai ripresentarti davanti a una Corte egiziana il primo febbraio, perché sarai anche libero ma non ancora assolto (da quale accusa, chissà). Potrebbero decidere di tornare a rovinarti l’esistenza in qualsiasi momento. Ma intanto sei praticamente fuori, potrai dormire prestissimo, una delle prossime notti, nella tua casa di Mansoura, con la famiglia che ti ha aspettato ogni secondo di questi 22 mesi, o magari anche tornare a studiare in quella Bologna, dove in ogni tua lettera dal carcere bestiale di Tora, al Cairo, chiedevi di poter ripartire dopo il tunnel dove ti avevano cacciato. «Riportatemi in piazza Maggiore. Grazie alla città, alle bandiere gialle. Io combatterò per questo».
Combattere e vedere riconosciuto, in un giorno di festa, che non è impossibile, che non è tutto inutile, è un segno che pretende un seguito. Le pressioni delle piazze, della società civile, e l’effetto domino che determinano sulle attenzioni di un Paese come l’Italia, possono davvero cambiare il corso delle cose, anche per gli ultimi, le vittime più incolpevoli della perdita di qualsiasi valore per il rispetto dei diritti fondamentali dell’essere umano. Salvato, per adesso, il soldato Zaki, arruolato in una guerra di inciviltà che non lo ha mai riguardato, diventa ancora più urgente proseguire con convinzione sulla stessa strada. È evidente che il prossimo passo, nei confronti dell’Egitto, non può che avere a che fare con la riapertura del processo sulla fine ignobile di Giulio Regeni. Quella vita meravigliosa non si può più salvare. Ma almeno tutta la verità sulla sua esecuzione e i suoi assassini, ecco, quello è un obiettivo non contrattabile, non più rinviabile, irrinunciabile. La liberazione di Patrick è benedetta ma si completa soltanto con la fine dell’omertà sullo studente Giulio, italiano del mondo.