Il Messaggero, 7 dicembre 2021
Intervista alle figlie di Camilleri
«Abbiamo trovato lettere di nostro padre a Jean Genet, a Eduardo De Filippo, i quaderni in cui abbozzava il personaggio di Montalbano, addirittura il primo tentativo di racconto, e il documento sulla concessione del telefono, che ha ispirato un suo famoso romanzo». Non lontano dalla casa romana del quartiere Prati in cui Andrea Camilleri viveva e immaginava le storie del commissario più famoso d’Italia, le sue figlie, Andreina, Elisabetta e Mariolina, lavorano alacremente per riordinare l’imponente mole di documenti che darà vita al grande Fondo che porterà il suo nome, e che sarà aperto agli studiosi nell’aprile del 2022. A parlarne sono Andreina, 63 anni, che oggi lavora in una società di produzione televisiva come lettrice di testi da trasporre cinematograficamente, e Mariolina, 58, un’apprezzata illustratrice. Ad aiutare la famiglia in questo compito gigantesco, di riconosciuto interesse nazionale, c’è una vera archivista, Patrizia Severi. Alcuni testi saranno al centro dello spettacolo Mamma Carissima Lettere inedite dall’archivio Camilleri che si terrà domani a Più libri più liberi, all’Auditorium della Nuvola dell’Eur, con le letture di Luca Zingaretti e il ricordo di Maurizio De Giovanni.
Quando avete inziato?
Andreina: «Verso il 2018: papà aveva espresso questo desiderio di cominciare a mettere mano ai suoi documenti, li teneva tutti in dei faldoni già catalogati e ordinati, in un garage. Poi tante cose invece sono uscite in maniera del tutto inaspettata, da una cantina. Un vero tesoro, che si è mantenuto perfettamente per cinquant’anni».
Mariolina: «Era un desiderio di papà e per noi è una gioia rivedere tante cose del suo passato».
Cosa vi ha colpito di più?
M: «Molte lettere importanti. La vita di nostro padre prima che diventasse uno scrittore affermato, le relazioni professionali, private, il mondo culturale di quel tempo».
A: «Lui è appena arrivato a Roma, senza un soldo, lavora duramente e rassicura i genitori».
Pensate di raccoglierle in un libro?
M: «Per ora è prematuro, è parte di un Fondo in costruzione, siamo ancora lavorando alla catalogazione di tutto il materiale. Poi penseremo a cosa fare. Quello che ci importa ora è di aprire al pubblico, agli studiosi, alle scuole. Anche alla gente del quartiere, come avrebbe voluto papà».
Avete trovato anche le prime prove narrative di Camilleri?
A: «Sì, avrà avuto quindici o sedici anni. Ce ne saranno sicuramente altri di testi del genere, ma questo in particolare è un manoscritto scritto su un foglio, Sweet Georgia Brown. Quando lo abbiamo detto a papà lui ha detto: Ah, avete trovato il mio primo tentativo di racconto».
M: «Lui diceva sempre di aver gettato dal finestrino il suo primo dramma, Giudizio a mezzanotte, e invece ne abbiamo trovate cinque copie».
A: «Ci sono le sue regie teatrali, con gli appunti manoscritti, le locandine, le foto. E le poesie che scriveva da quando aveva tredici anni».
A vent’anni fu elogiato da Elio Vittorini.
A: «Sì lui aveva iniziato così, scrivendo poesie.
M: «Aveva anche vinto diversi premi, ne abbiamo trovate tantissime».
Altri testi?
A: «Molta corrispondenza con Arthur Adamov, con Jean Genet. Lui fu il primo a mettere in scena Come siamo stati di Adamov».
M: «Genet fu tanto soddisfatto della traduzione che papà fece con Luigi Vannucchi, che gli regalò i diritti. Ma nelle lettere si parla anche di Orazio Costa, che fu il suo maestro, e poi importanti compagni d’accademia, come Franco Graziosi, Glauco Mauri»
A: «Ed Eduardo De Filippo, con cui aveva lavorato in televisione. Per la tv papà curò la regia di una serie di commedie, lo ha raccontato anche in un libro, Esercizi di memoria».
Immagino ci siano anche lettere a Gadda, è così?
A: «Lei forse se ne ricorda». (Chiama l’archivista Patrizia Severi, che interviene): «Sì, Camilleri racconta che, quando andò a lavorare in Rai, Gadda aveva appena concluso il suo impegno e a lui fu assegnata la stessa scrivania dell’autore del Pasticciaccio. Camilleri lo nomina spesso come uno dei suoi scrittori di riferimento, anche come giallista».
E lettere a Manuel Vázquez Montalbán, lo scrittore spagnolo che poi diede nome al commissario di Camilleri?
M: «La loro amicizia è più recente, non ci siamo ancora arrivate».
A: «Papà raccontava dei suoi rapporti con Montalbán: c’era una grande stima, non una frequentazione assidua, ma si sentivano».
Altri personaggi di cui in casa sentivate parlare?
M: «In campagna in Toscana veniva Stefano D’Arrigo, autore di Horcynus Orca, ma noi eravamo adolescenti, non ci davamo tanto peso. Si vedeva anche Orazio Costa. E più di recente Antonio Manzini, che era stato un suo allievo all’Accademia. E De Giovanni, Simonetta Agnello Hornby, con cui papà aveva un legame molto forte».
Avete anche trovato manoscritti di romanzi o racconti?
M: «Lui diceva sempre di non aver conservato bozze di suoi romanzi, negli ultimi vent’anni. Abbiamo trovato i primi due, Il corso delle cose e Un filo di fumo. E qualche quaderno, con i primi abbozzi di Montalbano».
A «Il Fondo sarà importante per gli studiosi, che potranno vedere come si è sviluppato il lavoro di papà, e come è nata la sua lingua, soprattutto».
E poi, la famosa concessione del telefono.
M: «Sì, che diventò un romanzo. Lui partiva sempre da un documento e poi costruiva la storia. Abbiamo trovato questa richiesta nel 1894, per avere il telefono tra due abitazioni».
A: «Poi ci sono le agendine, lui diceva sempre che leggeva un libro al giorno ed era vero: a sedici-diciassette anni si appuntava i titoli dei libri che leggeva. Dal 2 gennaio 1942: Leggo Montale, Le occasioni. E poi arrivavano i bombardamenti a Porto Empedocle»