la Repubblica, 6 dicembre 2021
Intervista a Norah Jones
Per il suo primo album natalizio, Norah Jones (artista da 40 milioni di dischi venduti e ben nove Grammy) ha portato la sua cifra jazz nel mondo di Santa Claus e inevitabilmente ne è scaturito un Babbo Natale piuttosto sexy. Accanto ad alcuni classici che la cantautrice americana ha scelto di rileggere a modo suo, l’album I dream of Christmas contiene anche 5 nuove canzoni, a cominciare dal primo singolo Christmas Calling (Jolly Jones) in cui esprime il suo desiderio di gioia e allegria. «Per la prima volta ho lavorato con il produttore Leon Michels» spiega in collegamento dalla sua casa di New York, «ci siamo divertiti, credo che la nostra più grande influenza siano stati i dischi di Peggy Lee, abbiamo cercato di ricreare quel tipo di atmosfera e di swing».
Perché un album di canzoni di Natale?
«Avevo sempre evitato, mi sembrava il classico disco che un artista fa spinto solo da ragioni commerciali.
La verità è che alcune delle canzoni che amo di più sono canzoni natalizie. Quindi, pur non avendo mai sentito il bisogno di farne un album, mi sono chiesta perché mai avrei dovuto continuare con questo pregiudizio. L’importante è come si fanno le cose».
C’è qualcosa in particolare che le ha fatto cambiare idea?
«Sì, qualcosa mi ha ispirato: come il titolo I dream of Christmas racconta, per cercare un po’ di conforto, un momento di gioia, e anche spinta da un pizzico di nostalgia, durante il primo lockdown ho iniziato ad ascoltare brani natalizi nei weekend, la domenica mattina, in famiglia. Per tirarci su di morale, per avere fiducia nel domani. Sono tornata bambina, evidentemente è ciò di cui avevo bisogno. Il Natale era cominciato a mancarmi sin da gennaio, dal momento in cui avevo smontato l’albero per riporlo. È in quel momento che è partito il lavoro su questo album».
Come ha scelto le canzoni?
«Ho ascoltato moltissimi brani, quelli che conoscevo e amo da sempre, ma anche molto materiale di cui ignoravo l’esistenza, anche canzoni recenti, benché per la maggior parte sia musica scritta anni fa. E non avendo tour a causa della pandemia, registrarle è stata la cosa più divertente su cui lavorare».
C’è un notevole cambio di atmosfere rispetto al suo precedente album “Pick me up off the floor” del 2019.
«Amo molto quell’album, dopo due anni lo giudico ancora un grande disco ma erano fondamentalmente canzoni tristi. Quest’anno volevo un po’ di felicità, e scrivere e cantare le canzoni di questo album mi ha portato molta gioia».
Il primo singolo “Christmas calling” è stato pubblicato addirittura ai primi di ottobre.
«Penso che sia uscito troppo presto.
Non si può pretendere che tutti abbiano la mia stessa passione per le canzoni natalizie tanto da cercarle lontano dal Natale. La scelta è stata della casa discografica, non ho potuto farci nulla».
La prima impressione è che quasi non si tratti di un album natalizio, il suo stile jazz prevale e ci sono brani rock.
«Non avrei mai registrato una canzone solo perché è uno standard natalizio. Volevo fare un bell’album, in cui ci fosse ciò che amo della musica. Sono brani dettati dalla voglia del Natale ma anche dal desiderio di essere felici. E vale anche per le cinque canzoni che ho scritto per l’occasione».
Il pezzo più sorprendente è la sua versione di “Run Rudolph run” di Chuck Berry: lei trasforma uno scatenato rock’n’roll in un torbido rhythm’n’blues.
«Partendo da quell’originale per me poteva diventare qualsiasi cosa.
Quando interpreto una canzone e la sento completamente mia penso di potermi lasciar andare senza preoccuparmi di dove mi porterà perché in quel momento è ciò di cui ho bisogno. Quando faccio così sono certa di non sbagliare, è la prova che si tratta di una canzone vera, innanzitutto per me».
Nel disco non ci sono canzoni note come “All I want for Christmas is you” di Mariah Carey o “Last Christmas” degli Wham!, erano forse troppo pop?
«Ho tenuto conto di tutte le canzoni natalizie, poi ho dovuto scegliere. Ho compreso la difficoltà di fare un album di questo tipo, vista la montagna di cover possibili. Diciamo pure che ho tagliato la fetta che più mi piaceva».