Riccardo Sessa per "il Messaggero", 6 dicembre 2021
UNO SPETTRO SI AGGIRA PER L’EUROPA: LA GUERRA! - CI SONO TRE CRISI CHE POTREBBERO SFOCIARE IN UN CONFLITTO ARMATO. C’È LA BOSNIA, DOVE SONO RIESPLOSE LE ISTANZE SEPARATISTE, POI C’È IL CONFINE TRA BIELORUSSIA E POLONIA, DOVE LUKASHENKO GIOCA AL RIALZO SULLA PELLE DEI MIGRANTI. E OVVIAMENTE L’UCRAINA, CON LE TRUPPE DI PUTIN PRONTE A INVADERE – L’UE HA LASCIATO CAMPO LIBERO A RUSSI, CINESI E TURCHI. E ORA DEVE CORRERE AI RIPARI… -
Venti di guerra stanno soffiando su un'Europa distratta dalla nuova emergenza della pandemia e dalle dinamiche di politica interna con seri rischi che possibili distrazioni, o sottovalutazioni, facciano precipitare la situazione.
Non mancano gli analisti più pessimisti che sostengono che una serie di pericolose situazioni di crisi messe tutte insieme potrebbero portare addirittura ad una Terza Guerra Mondiale. Siamo veramente a questo punto? E quali sono i focolai che quei venti potrebbero attizzare? Non stiamo parlando di scenari mediorientali o asiatici, né di war games che coinvolgono Taiwan, e quindi Usa e Cina, ma di Europa, di casa nostra.
GLI SCENARI Da mesi ci sono tre teatri di crisi, rispettivamente in Bosnia, Bielorussia e Ucraina, che, se non gestiti con professionalità e saggezza, costituiscono obiettivamente serie minacce alla nostra sicurezza. Crisi che investono quei tre paesi, ma nelle quali ritroviamo coinvolte potenze di primo e secondo piano, come Russia, Cina e Turchia, ma anche gli Usa, oltre alla Nato e all'Unione Europea e interessi nazionali, migranti, rapporti economici.
C'è di che preoccuparsi, anche perché gestire contemporaneamente tre crisi è un esercizio non dei più semplici. In Bosnia, a più di 20 anni dalla fine della guerra sono riesplose tutte le contraddizioni etniche e religiose della migliore - o peggiore - storia della ex Jugoslavia.
Le componenti serba, croata e musulmana riconosciute dagli accordi di Dayton del 1995 tuttora stentano a placare risentimenti, diffidenze e soprattutto odi che impediscono un minimo di stabilità e di coesistenza. Da ultimo, lo storico esponente bosniaco di etnia serba Milorad Dodik, da anni uomo forte della Repubblica Serba di Bosnia, ha impresso una pericolosissima accelerazione sulla via di un mai sopito (sin dai tempi di Milosevic) separatismo arrivando a minacciare di costituire un esercito serbo distinto rispetto alle forze bosniache.
Se a questo aggiungiamo che quelle tre componenti bosniache non hanno mai avuto pace, e che nei Balcani la violenza purtroppo è endemica, la possibilità di un conflitto non può essere esclusa.
GLI EUROPEI In passato in quell'area l'influenza di Francia, Germania e Italia era forte, così come quella della Russia. I tre europei hanno mostrato meno attenzione negli ultimi anni, mentre Mosca non ha mai ridotto il proprio impegno, al contrario. In più oggi dobbiamo registrare un attivismo cinese e turco nella regione che, come altrove, è andato a colmare lo spazio lasciato dall'Europa.
La ciliegina sulla torta balcanica, infine, è l'impotenza, per non dire l'incapacità delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e della Nato di attivare strumenti convincenti. Anche in questo caso per mancanze da imputare non a quelle organizzazioni, ma agli Stati membri. Si pensi che Albania, Croazia, Macedonia del Nord, Montenegro e Slovenia sono membri della Nato, e che Bosnia e Serbia hanno dei programmi di collaborazione, che, se sapientemente attivati, potrebbero contribuire a ridurre o risolvere le tensioni.
Altro teatro di crisi, per certi aspetti di più urgente preoccupazione per le conseguenze anche sul piano umanitario, è rappresentato da quanto sta accadendo al confine tra la Bielorussia e la Polonia, dove Minsk ha fatto affluire migliaia di migranti, in condizioni devastanti che abbiamo visto tutti, con la promessa di un trasferimento in Germania via Polonia usata come arma contro le minacce dell'Unione Europea. Qui sono in gioco anche la credibilità dell'Europa e l'incapacità di trovare le motivazioni per una politica europea seria di gestione dei migranti.
IL FRONTE UCRAINO L'altra situazione di crisi, forse più preoccupante delle precedenti, è quella al confine tra l'Ucraina e la Russia, dove Mosca ha schierato 175 mila militari in un assetto definibile di tipo aggressivo con riferimento ai mezzi e agli armamenti. La forza è schierata nel Donbass, a Est dell'Ucraina, nelle due autoproclamate repubbliche di separatisti filorussi, dove da mesi si trovano già varie migliaia di soldati russi.
La Russia sostiene che sta compiendo delle manovre militari e che non vuole invadere l'Ucraina. I pareri sono molto divisi e i più credono al peggio. Alcuni ipotizzano che l'invasione avverrebbe a gennaio dell'anno prossimo. Sono scenari molto seri, che veramente potrebbero scatenare logiche che renderebbero inevitabile un conflitto, e questa prospettiva non la vuole nessuno.
È chiaro che Mosca sta attuando una politica di potenza nei confronti dell'Occidente, dell'Europa e gli Stati Uniti. Il discorso sull'Ucraina è reso più complesso perché investe direttamente la Nato, con la Russia che da anni non perde occasione di lanciare segnali molto chiari che non gradisce, per usare un eufemismo, una adesione all'Alleanza Atlantica di Kiev, che sta invece procedendo nel programma di integrazione nella Nato fortemente sostenuto dagli Usa.
LA CAUTELA Allora? Dobbiamo essere cauti, dobbiamo adoperarci in tutti i modi per favorire il dialogo e non alimentare incomprensioni e tensioni. Intanto non si può escludere che quella di Mosca sia una manifestazione della politica personale di Putin, che mira ad essere riconosciuto l'unico interlocutore con il quale discutere di stabilità e sicurezza in Europa.
Inoltre, certamente Putin tende a rafforzare la già consistente presenza nel Donbass e a indebolire l'Ucraina. Alcuni hanno anche parlato di un possibile obiettivo di finlandizzare l'Ucraina, da non escludere. In realtà, nessuno è talmente folle da spingere le tre situazioni di crisi che abbiamo menzionato al punto da scatenare una guerra. Una guerra è già in corso, ed è quella dei nervi, ma dobbiamo gestire le emozioni.
E quindi, più che mai è il momento della diplomazia, ma di quella vera, di quella che sa come muoversi e sa come interfacciarsi con l'avversario. Americani e russi, che non hanno alcun interesse a farsi la guerra, sembra che lo abbiano capito e, a prescindere dalle dichiarazioni di facciata, pare che abbiano in corso un dialogo importante. Sono gli europei che devono muoversi, che devono far sentire la loro voce ed il loro peso, non solo con le sanzioni, ma con la politica. Bosnia, Bielorussia, Polonia, Ucraina sono in Europa.
LA POSTA IN GIOCO È in gioco la sicurezza europea. Abbiamo il Trattato del Quirinale e quello dell'Eliseo, e giustamente si sta cercando di chiudere il cerchio con la Germania (e domani la Spagna?). Che prenda l'Italia, forte della riconosciuta leadership del nostro premier, un'iniziativa decisa, sentendo prima Parigi e Berlino, insieme a Washington, per convocare un Consiglio europeo straordinario.
E venga attivata anche la Nato, dove comincia a pesare il problema della nuova leadership che dovrà insediarsi l'anno prossimo e per la quale è più che mai urgente che il nuovo Segretario Generale non sia ancora espressione dell'Europa del Nord, ma finalmente del Sud, e dell'Italia in particolare. Non dimentichiamo che la sicurezza transatlantica passa per la sicurezza europea, che a sua volta necessita della sicurezza nel Mediterraneo, quello allargato, che include, guarda caso, l'Adriatico dei Balcani e il Mar Nero.