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 2021  dicembre 05 Domenica calendario

Il primo Oscar del cinema afroamericano


Fisicamente somigliava a Sidney Poitier, appena un po’ più pingue. Ma Oscar Micheaux non era un attore, era un regista. Nei corsi e ricorsi storici è stato cineasta indipendente e marginale, artista influente, direttore dimenticato, maestro riscoperto e infine, per citare il sottotitolo del documentario di Francesco Zippel, the superhero of black filmmaking. “Supereroe” perché ce ne voleva di coraggio un secolo fa a mettersi contro David Wark Griffith e il Ku Klux Klan e raccontare la violenza dei bianchi nei confronti degli afroamericani, e pure un po’ per scherzare sul fatto che a Metropolis, la città dell’Illinois dove era nato nel 1884, i suoi concittadini hanno preferito erigere una statua a un supereroe fittizio, Clark Kent alias Superman.
Presentato all’ultimo festival di Cannes, Oscar Micheaux. The Superhero of Black Filmmaking approda ora in tv (alle 21.15 del 5 dicembre su Sky Arte, e da lì anche su Sky Documentaries e Now), diretto da Zippel, studi di cinema a Roma e Parigi, una gavetta alla Treccani e a RaiStoria, un paio di collaborazioni con Wes Anderson e documentari su Nicholas Ray e William Friedkin. Prodotto da Sky con Quoiat, incrocia brani di repertorio, pezzi di pellicola, testimonianze e riflessioni, per ricostruire una figura di cineasta poco conosciuto ma decisivo nella sua azione artistica e politica. Figlio di ex schiavi del Kentucky, era il quinto di undici figli: appena poté, lasciò le radici contadine per la metropoli Chicago e andò a lavorare come facchino nella compagnia ferroviaria Pullman; lo accusarono di furto, fu licenziato e si fece riassumere dalla stessa compagnia in un’altra città. Ottenuto un pezzo di terra nel South Dakota, unico nero nel raggio di chilometri, tornò a fare il contadino, quindi si mise a scrivere romanzi che stampava e vendeva porta a porta. Da uno di questi, The homesteader, trasse un primo film, autobiografico come il libro.
Correva l’anno 1919, ed era la prima volta che un afroamericano dirigeva un lungometraggio; ma il suo film più importante è Within our gates, dell’anno dopo, in cui Micheaux osa mettere in scena un brutale linciaggio e, cosa ancora più inusitata, parla della classe media afroamericana come di persone del tutto normali. Una risposta a Nascita di una nazione, dove il razzismo si taglia col coltello. Ma nel documentario, con grande onestà, Zippel sceglie di non nascondere la grandezza del film di Griffith. «Griffith era un genio assoluto e Nascita di una nazione rimane una pietra angolare del cinema», dice Zippel. «Micheaux stesso era perfettamente consapevole della sua importanza, lo dichiara in una sua lettera. Il problema è che il grande successo di quella pellicola venne interpretato nella maniera peggiore possibile: la parata del Ku Klux Klan al Campidoglio che ho inserito nel film, e che ricorda l’assalto dello scorso gennaio, avvenne proprio quando Nascita di una nazione era in sala».
Micheaux ha girato una quarantina di film, dai più noti The Exile e
Temptation ad altri perduti; riuscì a scavalcare il periodo del muto e a proporsi anche in pieno sonoro, proseguendo la sua opera di apostolato nello stesso modo in cui aveva diffuso i suoi romanzi, trovando finanziamenti qua e là e portando personalmente le copie nei cinema: un autentico pioniere del cinema indipendente. La definizione più fulminante la pronuncia nel documentario un reverendo durante la celebrazione del settantesimo dalla scomparsa: «Oscar Micheaux era Spike Lee prima che ci fosse Spike Lee».
Può quindi stupire che a narrarne le gesta sia non un afroamericano ma un bianchissimo europeo. «Mi sono chiesto anch’io come mai non ci avessero pensato negli Usa», dice Zippel. «Kevin Wilmott, lo sceneggiatore di Spike Lee, mi ha poi spiegato che l’America, malgrado su certi temi sia in grande fermento, non riesce ancora a rompere tutte le barriere. I loro documentari non vanno oltre figure storicizzate come Muhammad Ali e Miles Davis; lui stesso aveva proposto alle major un film su Micheaux e si era sentito rispondere che non era ancora il momento. Farlo fuori dagli Stati Uniti diventa paradossalmente più facile». La difficoltà maggiore è stata dirigere tutto a distanza. «Avevo fatto i sopralluoghi ma poi il film è stato girato durante il secondo lockdown, con la troupe americana che viaggiava mentre io li guardavo da un ufficio di Roma. Ho condotto così anche tutte le interviste, da Morgan Freeman al biografo Patrick McGilligan. In fondo è stata un’esperienza esaltante, perché nella stessa stanza in cui avevo scritto il film l’ho anche girato e montato». Ora Oscar Micheaux è richiesto un po’ ovunque, dalla Germania all’Inghilterra; e negli smemorati Stati Uniti uscirà regolarmente nei cinema.