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 2021  dicembre 05 Domenica calendario

Rileggere Luigi Capuana


Luigi Capuana è stato il Bela Lugosi del Verismo. Ma, a differenza del leggendario attore ungherese che interpretò il primo Dracula, i suoi “fantasmi” erano dei buontemponi. Grazie a uno spiccato senso dell’ironia, è riuscito a fare un tiro mancino anche ai critici e agli storici. Nato nel 1839 a Menfi, provincia di Catania (dove fu due volte sindaco), è tuttora considerato il maestro del Verismo italiano. Con Il marchese di Roccaverdina del 1901 toccò, appunto con l’etichetta di “scrittore naturalista”, l’apice della fama. Ma già con i precedenti Giacinta, Profumo e Malìa era stato collocato dalle parti di Flaubert e Zola. Fu per lui una facile impostura. Successivamente si potè permettere di dire che il realismo letterario era solo un “abito” come un altro. E che le sue vere passioni erano invece la medicina, la fotografia, lo spiritismo. Guidò lui stesso sedute spiritiche e, alla fine della vita, quasi si convinse dell’esistenza degli alieni.
Ma da uomo di intelligenza non comune, non prese mai troppo sul serio neppure i suoi interessi. Seppe spesso virarli in scherzo, per alleggerirli. Amava inviare agli amici, che erano D’Annunzio, De Roberto, Pirandello, Verga, le sue “fotografie da morto”. Si faceva ritrarre con gli occhi chiusi, le mani sul petto, l’espressione stravolta, riuscendo ad ingannarli. Giovanni Verga, nel 1877, corse a casa sua per porgere le condoglianze alla famiglia. Finì a grasse risate.
Oggi la sua città gli ha eretto giustamente statue e mausolei. Lo scrittore resta un caso unico, a maggior ragione quando oltre le opere se ne apprende la vita. Appropriatosi del genere letterario che era in voga ai suoi tempi, ne è diventato il simbolo. Ma avrebbe potuto scegliere un altro stile o un’altra arte (vedi i successi teatrali) e si sarebbe imposto ugualmente. Giuseppe Borgese, che lo capì prima degli altri, scrisse: «Non appartiene a un sistema o a una scuola. Si servì, con gioconda agilità, delle mode per compiacere il suo prepotente istinto narrativo».
Non solo. Capuana è l’esempio che la corrente da lui rappresentata, il suddetto Verismo, resta vittima di un fraintendimento. La vocazione naturalistica di questa scuola viene spesso imposta come un “unicum” di quel genere. Capuana rivela l’inverso: qualche incertezza dei suoi esordi ( avvistata dalla critica) venne superata dalla potenza dei temi trattati: uno stupro subìto da bambina, che porterà una donna al suicidio, le vivide immagini delle processioni dei “flagellanti”, l’orrore patologico e giudiziario della storia del marchese di Roccaverdina, hanno fatto sbarcare nella narrativa nostrana Freud e la nuova medicina, spingendoli ai limiti della “stregoneria”, ma con un alto tasso di “visionarietà” nel passare in rassegna i casi ordinari della vita.
Erano i tempi del boom della fotografia. Capuana ne divenne un apprendista provetto. Se essa, come disse il filosofo Walter Benjamin, rubava l’aura all’opera d’arte, aprendo la strada alla duplicazione infinita dell’oggetto ritratto, nel periodo pionieristico permetteva ancora un’utopia: catturare su lastra entità fantasmatiche, apparizioni che sfuggivano ad occhio umano, presenze che – se finalmente fissate – avrebbero provato l’esistenza del soprannaturale.
Capuana, come detto, utilizzò la fotografia anche per tirare scherzi ai colleghi scrittori. Ma poi sconvolse davvero il mondo letterario quando, nel 1884, pubblicò Spiritismo?, una raccolta di saggi sul paranormale, e in particolare su una ragazza che sosteneva di essere posseduta dallo spirito di Ugo Foscolo, su immagini di “invasati”, sui ritratti di una bambina morta. Il punto interrogativo nel titolo lo impose l’editore, inquieto per il tema controverso. Capuana, al contrario, si batté invano per l’esclamativo.
Federico De Roberto, l’autore de I vicerè, dopo aver letto il libro, lo prese in giro proprio per l’interrogativo nel titolo. Finse un incontro ravvicinato con lo spettro del barone di Guldenstubbe, noto spiritista scandinavo, per scrivere all’autore: «Ho chiesto al barone se conosceva Luigi Capuana. Mi ha risposto: è uno spirito traviato. Che cosa ha mai fatto, gli ho domandato. E lui mi ha risposto: ha dubitato».
Il lato nascosto del maestro di Menfi torna ora a fare capolino. La casa editrice siciliana Edizioni Ex Libris ha pubblicato di recente Metafisicherie di Gian Mauro Sales Pandolfini, biografia dedicata a Capuana e alla «cultura medianica tra Ottocento e Novecento», mentre l’editrice Il Palindromo si appresta a riproporne gli scritti “fantastici”. Un altro editore catanese, Edizioni del Prisma, aveva già riscoperto nel 1995 gli studi esoterici del nostro. In coda al volume c’è una lettera a Luigi Pirandello del 1905: «Il problema del DI LA’ – non esito a confessare la mia debolezza – mi interessa infinitamente più del telegrafo e del telefono senza fili, della direzione degli aerostati e di tante altre stupende ed utili invenzioni». Negli ultimi anni studiò un “veggente” settecentesco, Emanuel Swedenborg, che sosteneva di aver compiuto “viaggi astrali” e di aver appreso dell’esistenza di alieni su Giove, Marte, Mercurio, Venere e la Luna. «Lascio insoluta la questione» commentò Capuana per i posteri.