Robinson, 5 dicembre 2021
“Montalbano siamo”
Francesco Merlo
L’Italia non si rassegna – Montalbano siamo – e fruga e gratta con le unghie, scamìna e scalìa si dice in siciliano, per diseppellire inediti che sempre più somigliano agli ovuli non fecondati visto che Andrea Camilleri – s’abbenedica maestru – era fiero di non tenere carte segrete: «Distruggo le variazioni. Non si potranno fare tesi di laurea sulle diverse versioni di questo o di quel romanzo». In attesa, dunque, di diseppellire gli editi e smentire la profezia dello stesso Camilleri, «ho la certezza che di me non resterà niente», il grande popolo dei suoi lettori è stanco di suppisare gli omaggi critici – apparati, note, saggi – che sono lapidi cimiteriali e pietre tombali, persino più monumentali dell’arcigna statua che Agrigento esibisce come Manhattan esibisce la statua della Libertà. E l’Italia orfana di Camilleri è anche estenuata dalle repliche in tv di Montalbano di cui troppo si è saziata, abbuffata, anzi addubbata.
Ci sono invece tutti i suoi libri, più di cento, già tradotti in 120 lingue, che aspettano di tornare a fare
scruscio come il mare di Vigata. E, tra loro anche se altro da loro, c’è Montalbano che, come Maigret, attende dieci, cento, mille Zingaretti, ma senza più la mediocrità della Raitv dove mille e una faccia sono mille e una volta la stessa faccia. Proprio come a Vigata, quella vera, non quella replicata dalla Rai a Ragusa, insomma come a Porto Empedocle – che ci trase Ragusa con noi? – dove imitare Zingaretti era un mestiere perché in strada replicavano le scene tv, Montalbano siamo, e si scoprì che in tanti avevano quella stessa faccia tunna tunna e anch’io andai a passiare sul molo del levante. Arrivai nel giorno del lutto, nel luglio del 2019, quando restarono strammati perché avrebbero voluto seppellirlo lì, ma non c’è rilancio ca arrinesci in quella povera terra sdirrupata, anche se la casa di Pirandello è al confine, c’è la madre di Pirandello suttirrata, e lui qui studiò da picciriddo nella stessa scuola dove poi ha studiato Camilleri. Eppure di pinsate ne hanno avute tante, ma non è diventato business neppure taliare Vigata dal mare come nella Forma dell’Acqua e andare ad ammucciarsi sulla montagna del Crasto che – dice il Cane di Terracotta – «montagna non si era mai sognata di essere».
«Si ricordi che Montalbano non le appartiene» scrivevano a Camilleri che di Montalbano si sentiva prigioniero: «mi nesci dall’occhi». E ancora gli dicevano: «Non si arrischi a passargli le sue idee di sinistra». Al contrario un comunista di Udine aveva raccontato a Camilleri di un compagno che volle con sé nella tomba un ritratto di Che Guevara e i libri di Montalbano.
Eppure anche gli altri romanzi e racconti, il pirandelloide Re di Girgenti e il mitologico Maruzza Musumeci per esempio, sembrano scritti per essere visti. E
sono fantasie cinematografiche, gialli e atmosfere tra l’ironia e la pietà, La pensione di Eva, Il Casellante, Le Pecore del pastore, Il tailleur grigio, sono cinema il miracolo nel bordello, la donna che diventa un albero, il vecchio incatenato alla moglie giovane, le fucilate al vescovo. È cinema scritto che solo i registi non hanno letto, soprattutto quelli “laureati” che purtroppo in Italia sono rapiti dalla fregola dell’Oscar e dalla “dolce vita” eternamente imitata. Fatevi sotto invece di farvela sotto produttori, sceneggiatori e attori: vi aspettano gli spettatori.
Proprio come accadde con les petites gens di Simenon, anche lui convinto che nulla di sé sarebbe rimasto, un giorno Donna Giusberta e Patò, il ragioniere Bovara, Genuardi con il suo telefono, Augello, Catarella, Livia e Fazio, evaderanno, come Montecristo dalla prigione, dai Meridiani e dai cofanetti, ormai troppo recensiti per essere letti. Occhi futuri attendono il prefetto cavalier Bortuzzi, Gisuè, Girlando e Filonìa. Come le figure dei quadri di Harry Potter l’omini fitusi e le due sorelle, Lulla la brutta e Mirella la bella, dolcemente usciranno dai libri da possedere e non sfogliare. Insomma, tutti i genti di nenti di Camilleri, baciamu li mani e pastasciutta, arancini e ‘na’anticchia d’olio, torneranno al loro abito naturale, il buon gusto a poco prezzo, l’economico-classico, carta da letto, da bagno e da treno per viaggiatori distratti, per il lettore che s’arramazza invece di dormire, e per persone sole: «Sembra che il numero delle persone sole sia in aumento. Io le riconosco per strada dal modo in cui camminano».
È così che Simenon ridivenne l’autore più venduto: quando si scoprì che il suo vero inedito era l’edito. Anche Camilleri ha un appuntamento col destino se è vero che i lettori dimenticano le sue trame ma conservano il sapore, il suono sicilianoide, le atmosfere, la sua grandezza senza grandezze: il picciriddu che si suca il latte, il superchiaturi che non permetterà che gli cachino dintra il letto, il brigante fallito a cui piace pigliarissila commuda.
Ma ancora siamo nel momento del rimpianto, che è
intorciamento di stomaco perché non ci sono eredi, ma epigoni, sia tra i nuovi indagatori televisivi, da Ricciardi a Imma Tataragni e a Lolita Lobosco, dal Gioè di Macàri ai Bastardi di Pizzo Falcone, e sia tra gli autori d’alto numero di vendite, protagonisti dell’eterna disputa tra l’accademia e il successo, in un turbinio di giallisti e soprattutto di scrittrici, Elena Ferrante e Sveva Casati Modigliani, Cristina Cassar Scalia, Nadia Terranova, Stefania Auci…: l’emancipazione è giallo- shocking.
Il punto è che solo Camilleri scriveva con leggerezza per “spurnisciare” i lettori che in Sicilia significa liberarli dai pensieri, dalle sfurniscie. E infatti ancora oggi la casa nel quartiere Prati di Roma che tutti indicano a dito è la casa della saggezza, modesta sia dentro sia fuori, com’era la casa di Vigata, e com’era la sua vita: «Non abbiamo mai cambiato lo stile di vita. I soldi che ci ha portato Montalbano sono arrivati tardi, ma non hanno modificato nulla del nostro modo di vivere. Anche se volessi, mia moglie non accetterebbe un gioiello, un abito di gala …». È questo essere di sinistra? «Sì. Se perdiamo tutto non perdiamo nulla. La sola cosa a cui teniamo sono gli affetti».
Ricco e modesto, Camilleri divenne dunque il bene rifugio di un Paese che, umiliato dalla giustizia, si risarciva con Montalbano, infallibile eroe di giustizia, ma senza sociologismi e sempre con la bonomia di una provincia che è la più letteraria del mondo, solo se la talii dalla giusta distanza teatrale. E si sa che di teatro Camilleri è stato l’ultimo, vero maestro.
Camilleri era, per dirla alla Camilleri, l’ultimo grande tragidiaturi delle nostre anime perse, ma con il sorriso dell’uomo buono. Era il cieco che quando non riuscì più a scrivere su quel computer che ingrandiva le ombre, si mise come Borges a comporre i suoi racconti e i suoi saggi direttamente a mente, dettandoli poi senza alcuna esitazione e senza alcuna necessità di correzione. E benché il tabacco fosse già stato espulso dall’attività godereccia, non più accomodato tra Bacco e Venere, Camilleri era il fumatore che non si ammalava ma arrochiva la voce, il santo bevitore che non si ubriacava ma “si ispirava”, il siciliano che odiava la mafia ma non sproloquiava di mafia. Ed era la nostra biblioteca di Alessandria, conteneva in sé tutti i libri del mondo, e su ogni autore, da Dostoevskij a Simenon, da Pirandello a Dumas raccontava un aneddoto intrecciato con la sua vita, con la Vigata dove andava sempre più raramente, il borgo selvaggio che aveva abbandonato e proprio per questo sapeva cantare, perché mai c’era arristatu incarzaratu.
Eppure, anche se a modo loro, il funerale pubblico glielo fecero solo a Vigata, esibendo foto inedite con lui, tirando fuori dai casciola di famiglia registrazioni private, raccontando aneddoti speciali e mostrando feticci: «questo accendino a gas me lo diede la bonarma», una birritta niura con un buco, un bicchiere, «lì beveva il caffè», «lì si sedeva con i suoi amici, Fofò Gaglio, Fiorentino e Ciccio Burgio», «lì leggeva Repubblica».
Ebbene, tre anni dopo, siamo di nuovo a caccia di simulacri, e non solo di inediti che non ci sono. Rivogliamo la bellezza del Sud che in Camilleri divenne etica, il barocco e gli aranceti che trasformò in candori di Voltaire e, senza più lui, stanno già tornando ai neri scenari di mafia. Rivogliamo le donne meridionali belle e fatali che finalmente strappò all’insopportabile stereotipo dell’universo pesante e povero dove il maschio valeva meno di un asino e la femmina meno del maschio. E lo fece senza compiacimenti generazionali per la malafemmina né concessioni alla moda detestabile del maschio femminista: «Considero le donne esattamente come gli uomini. Se dipendesse da me abolirei, insieme alla retorica, anche le quote rosa, la festa dell’8 marzo e tutto quello che sottolinea la diversità». E ci manca il suo mare che accoglie e purifica, il mare delle spiagge solitarie e senza stagioni, non quello degradato a bidet che si affolla d’estate, l’acqua celebrata come una patria, l’acqua “che non ha forma” ma prende quella del commissario che ritrova, nella solitudine della nuotata, la certezza di sé. Camilleri ha restituito dignità ai cannoli e ai fichidindia, al colore nero, ha sottratto il più bel dialetto del mondo alla mafia e al pittoresco e l’ho ha riconsegnato alla fantasia. E su tutto c’è la giustizia che purtroppo all’Italia fa agghiuttiri sputazza. Montalbano è l’investigatore che non intercetta ma indaga: interroga, intuisce, sente e capisce l’innocenza che tutela e custodisce. Montalbano è la giustizia che non c’è. Ecco perché in attesa di sciusciari una nuova vita alla letteratura e al cinema, tutti ancora “Montalbano siamo”.