Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  dicembre 05 Domenica calendario

Intervista alle figlie di Camilleri


All’inizio del 2018, un anno prima di andare via per sempre lasciando ai suoi lettori ancora un ultimo romanzo, Andrea Camilleri convocò la moglie Rosetta e le figlie Andreina, Elisabetta e Mariolina chiedendo loro di esaudire un suo grande desiderio: «Vorrei rimettere a posto il mio archivio – disse il maestro – ma sono stanco e ormai non ci vedo più. Dovete aiutarmi voi. Lo so, è un lavoraccio, ma qualcuno dovrà pur farlo. Giuro, è l’ultima cosa che vi chiedo. Per favore, non ditemi di no».
La signora Rosetta e le sue figlie impallidirono: rimettere in ordine centinaia di faldoni, vecchi copioni, prime stesure di libri, lettere, fotografie, audiovisivi e persino appunti presi in settant’anni di attività, sembrava un lavoro titanico. Perché Andrea Camilleri era un collezionista pignolo e infaticabile: «Catalogava tutto. E, soprattutto, conservava tutto. Solo che lui ha iniziato a lavorare a Roma qualche anno dopo la guerra e fino all’estate di due anni fa, quando ci ha lasciato, ha accumulato una mole di materiale impressionante – raccontano le figlie, le voci che si accavallano perché ognuna di loro ha qualcosa da raccontare, un istante da immortalare – Per fortuna ci ha aiutato la nostra amica archivista Patrizia Severi, da sole non ce l’avremmo mai fatta. Sì, in primavera apriremo le porte di un grande appartamento, nel quartiere Prati, che ospiterà il Fondo Andrea Camilleri. Era il regalo che nostro padre ci aveva chiesto. Non potevamo deluderlo».
Dall’archivio, dichiarato di interesse storico dalla Soprintendenza archivistica del Lazio insieme alla biblioteca, arrivano anche le lettere che pubblichiamo in esclusiva su Robinson. Il carteggio di un giovanissimo Andrea con i genitori Giuseppe e Carmela Fragapane.
Una fonte unica e inedita sulla sua vita dal 1949, quando si trasferì a Roma da Porto Empedocle, ai primi anni Sessanta quando, giovane poeta e scrittore, inizia il suo percorso di formazione all’Accademia nazionale d’arte drammatica come regista teatrale.
Gli studi, gli entusiasmi e le difficoltà, i soldi che non bastano mai, gli incontri con personalità di primo piano della cultura e del mondo intellettuale. Camilleri raccontava tutto ai suoi genitori: «Era entusiasta – riprendono Mariolina, Andreina ed Elisabetta – non si fermava mai. Da ogni cosa che succedeva, ogni persona che conosceva, traeva un dettaglio, una frase, qualcosa che si è poi portato dentro. Non era ancora l’Andrea Camilleri che tutto il mondo ha imparato ad apprezzare soltanto diversi decenni più tardi. Ma era già un giovane uomo dotato di estrema curiosità e voglia di fare nuove esperienze».
Un uomo che ha vissuto beato tra le donne. La moglie, tre figlie…
«Se è per questo a casa c’erano anche due nonne, due donne di servizio e pure la cagnetta. Ci stava bene in mezzo a noi. Chissà, forse si sentiva protetto. Di sicuro non si è mai lamentato, anzi».
Che padre è stato? Da ragazzine era geloso di voi, delle vostre storie d’amore?
«Ma no, figuriamoci. Tra l’altro se c’era uno con cui parlavamo dei nostri fidanzati o delle pene d’amore era lui. Altro che mamma Rosetta, il nostro confidente era papà. Diciamo che è stato un padre non molto presente, troppo preso dal suo lavoro, dai suoi mille impegni. Ma quando avevamo bisogno di lui non è mai mancato, lo ricorderemo sempre al nostro fianco».
Poi, quando ha avuto bisogno di voi, come nel caso del Fondo Andrea Camilleri, non vi siete tirate indietro…
«Vero, però dobbiamo confessare che quando ha espresso questo desiderio ci siamo sentite perse. Non sapevamo da dove cominciare, c’erano carte dappertutto: in casa sua, nelle nostre, a Porto Empedocle. Parliamo di scatole enormi da studiare, mettere in ordine. Un lavoro terrificante, da non crederci. E poi mancava sempre qualcosa, come se nostro padre avesse dimenticato di conservare qualcosa».
Impossibile, conoscendo la sua “mania” per l’archivio.
«E infatti un giorno dalla cantina di casa di Andreina, per puro caso, sono saltate fuori nuove casse piene di documenti. Erano rimaste lì per chissà quanto tempo. La pioggia, l’umidità potevano distruggerle e invece è venuto fuori un tesoro inestimabile di lettere, foto, appunti, manoscritti, critiche teatrali. Ma anche riviste culturali, audiovisivi, copioni teatrali. Persino le agendine conservava nostro padre. Catalogate anno per anno. E meno male, perché tra quelle pagine abbiamo scoperto anche alcune poesie inedite, versi che scriveva per sé, chissà se ha mai pensato di pubblicarle».
Quando avete trovato tutto questo materiale, il maestro era ancora vivo. Come reagì alla notizia?
«Ne fu felicissimo. Tra l’altro cominciammo a leggergli qualcosa di quello che avevamo trovato e si ricordava tutto per filo e per segno. Parliamo di scritti degli anni Cinquanta, Sessanta: mezzo secolo e passa prima. Aveva una memoria di ferro. Quel giorno, di fatto, è nato il Fondo Andrea Camilleri».
In un’intervista rilasciata nel 2016, disse che oggi, quando parliamo di archiviare una storia, intendiamo dire dimentichiamocela, mandiamola in una specie di buco nero dove tutto si perde. Ed invece gli archivi sono esattamente l’opposto. Sono eternamente vivi perché rappresentano la memoria del nostro passato, una memoria palpabile che tutti possono verificare e controllare. Sarà questo il compito del Fondo che porta il suo nome?
«Le sue carte raccontano gran parte della storia culturale del Novecento. Si incrociano vicende, esperienze e protagonisti. Ci sono le regie teatrali a partire dai primi anni Cinquanta di autori italiani ed europei, Pirandello, Giacosa, Betti, Fabbri, Bracco, Campanile, Strindberg, Cocteau, Adamov, Ionesco. Fu lui, per esempio, a portare in tv per la prima volta le opere di Beckett. E ancora, i saggi delle sue classi di regia all’Accademia Silvio D’Amico negli anni Ottanta, il lavoro in Rai come regista della programmazione radiofonica quotidiana dei contenuti di prosa caratterizzato da significative scelte personali e da un forte interesse per la sperimentazione.
E poi le regie, le sceneggiature e le produzioni televisive dei grandi sceneggiati, dal Commissario Maigret al Tenente Sheridan ad altri lavori meno noti realizzati con autori di primo piano».
Per non parlare delle corrispondenze con nomi di primissimo piano della cultura italiana ed europea
«Abbiamo ritrovato gli scambi epistolari della redazione dell’Enciclopedia dello spettacolo a cui nostro padre ha lavorato per i contenuti teatrali dal 1951 e le lettere di Orazio Costa, Silvio D’Amico, Eduardo De Filippo, Elio Vittorini, Francesco Pavolini, Primo Levi, Jean Genet, solo per citarne alcuni. Da tutte emergono progetti professionali e stretti legami di amicizia e stima reciproca».
Un Camilleri, per certi versi, assai lontano dai fasti del commissario Montalbano che lo ha reso celebre in tutto il mondo
«Ma nemmeno tanto, se possiamo dire. Non ci sarebbe stato quell’Andrea Camilleri senza le esperienze accumulate nei decenni precedenti. Tutto si lega, le carte dell’archivio lo spiegano chiaramente».
A proposito, ma la prima volta che vi è capitato di leggere un romanzo di vostro padre, con quella lingua così particolare che, di fatto, è una sua invenzione letteraria, cosa avete pensato?
«È stato come risentire la “parlata” di casa nostra. E siamo state colpite dalla musicalità di certe parole, dall’ironia di espressioni perdute nel tempo. Ci abbiamo visto nostro padre, i nostri nonni, Porto Empedocle, Vigàta. E non abbiamo mai pensato che fosse una follia usarle in un romanzo. Del resto, paradossalmente, il successo per Andrea Camilleri è arrivato prima al Nord.
Al Sud è stato scoperto solo più tardi. E non ci sono mai volute note per spiegare certe frasi, le hanno sempre capite tutti i lettori».
C’è una cosa che vi manca in particolare di vostro padre?
«È impossibile rispondere a questa domanda. Ci manca lui, la sua voce, i suoi consigli, i suoi racconti. Ci manca papà, anche se lo rivediamo nei libri, nei copioni, nelle lettere che abbiamo ritrovato».
L’8 dicembre, a conclusione di “Più libri più liberi” sarà Luca Zingaretti, il commissario Montalbano televisivo, a leggere alcune lettere di vostro padre scritte ai suoi genitori nei primi anni del trasferimento a Roma. Si annuncia una serata di grandi emozioni.
«Luca è stato allievo di mio padre alla scuola di Arte drammatica. Quando fu scelto per interpretare Montalbano in tv, anche se nel suo immaginario quel personaggio era completamente diverso, papà fu doppiamente felice. Perché Zingaretti era bravo e perché lo aveva conosciuto da ragazzino, quando sognava di diventare un attore. Sì, sarà bello sentire la voce di Andrea “prestata” da un suo grande amico. Ma c’è un’altra cosa che ci sembra importante aggiungere».
Che cosa?
«Nostro padre voleva che questo Fondo fosse aperto a chiunque volesse visitarlo, ma soprattutto alle scuole.
Nelle sue lettere c’è la storia della sua vita, quella di un ragazzo del profondo Sud che non ha mai smesso di inseguire un sogno. Ecco, il messaggio che Andrea Camilleri ha voluto dare chiedendo a noi figlie di curare il suo archivio è proprio questo. Far capire ai giovani che niente è impossibile, che i sogni si avverano. E noi siamo orgogliose di averlo aiutato. Speriamo soltanto di esserne all’altezza».