il Fatto Quotidiano, 5 dicembre 2021
Borsa, 20 anni di Juve
Nei suoi vent’anni in Borsa, dove ha debuttato il 20 dicembre 2001, tra crolli e rimbalzi l’azione Juventus ha fatto venire il cardiopalmo ai suoi investitori più che una finale di Champions ai suoi tifosi. Nessun settore a Piazza Affari è volatile come il calcio, ma il titolo bianconero svetta anche su questo fronte: nei suoi primi 10 anni l’azione ha perso quasi il 90% del suo valore fino al minimo storico a 0,137 euro del 25 gennaio 2012, poi si è rivalutata di 10,5 volte sino al record di 1,57 euro del 4 aprile 2019. Il 27 dicembre 2018 il titolo era così forte da rimpiazzare precedenti big come Banca Mediolanum e Mediaset nel listino Ftse Mib delle 40 società maggiori. Ma oggi la doppia bufera odierna del nuovo aumento di capitale (il terzo, per 400 milioni) e delle indagini sulle plusvalenze di calciomercato ha fatto perdere di nuovo ai corsi tre quarti del loro valore.
Quando si quotò a 3,7 euro (prima delle rettifiche di prezzo dovute ai due aumenti di capitale da 104,8 milioni del 2007 e da 120 del 2011), il collocamento del 37% del capitale portò la capitalizzazione a 385 milioni, molto più alta di quelle di Lazio e Roma. Oggi in Borsa ne vale 552. Ma già la trimestrale al 30 settembre 2001 avrebbe dovuto far suonare l’allarme: la Juve – primo club a pagare un dividendo – aveva realizzato un utile netto di 56,8 milioni solo grazie a plusvalenze nette di calciomercato per 123,9 milioni. Il fatturato trimestrale era cresciuto del 70% ma era di appena 36,2 milioni, a fronte dei 171 dell’esercizio 2000-01. L’80% dei ricavi arrivava da diritti tv e sponsor. Gli analisti segnalarono invano che l’azione bianconera era offerta a un prezzo troppo caro rispetto ai concorrenti (il multiplo tra valore d’azienda e margine operativo lordo, alla quotazione, era di 30 volte contro una media di 22 in Europa). Così la matricola bianconera già nella prima seduta perse il 5,81%. Sorte migliore era toccata al debutto in Borsa alle altre due squadre quotate di serie A, Lazio e Roma. La prima, nella prima seduta del maggio ’98, aveva guadagnato l’8,5% a 3,3 euro dal collocamento a 3,04. A maggio 2000, nel primo giorno in Borsa la Roma era salita del 3,25% a 5,67 euro dai 5,5 del collocamento.
Da allora, nelle sue 5.096 sedute a Piazza Affari, l’azione Juventus ha fatto letteralmente follie: il titolo bianconero ha segnato ben 33 chiusure giornaliere con rialzi superiori al 10%, con il record di +28,55% del 15 ottobre 2013, e ben 96 con rialzi tra il 5 e il 10%. Ma anche 22 sedute con ribassi superiori al 10% e altre 97 con chiusure in calo tra il 5 e il 10%. L’ottovolante è stato spesso rapidissimo: al record di rialzo quotidiano seguì il giorno dopo il massimo tonfo: -24,2%, 16 ottobre 2013. La schizofrenia è legata ai risultati sul campo: impressionanti furono i tracolli dei corsi seguiti alle sconfitte nelle finali di Champions League del 28 maggio 2003 con il Milan e del 3 giugno 2017 con il Real Madrid. Ma contano anche indiscrezioni e colpi di calciomercato: fece furore il rialzo della primavera 2006, quando il dg Luciano Moggi aveva 50 milioni da spendere per il calciomercato e il titolo volò a 0,785 euro. Poi splose Calciopoli: il 13 maggio 2006 emerse lo scandalo delle designazioni arbitrali, il giorno dopo la Juve vinse il 27° scudetto e l’azione salì del 4,1%. Ma il 27 luglio la squadra fu privata degli scudetti 2005 e 2006 e retrocessa in serie B, per la prima volta nella sua storia. L’arrivo di Cristiano Ronaldo, a luglio 2018, portò l’azione a 1,54 euro, vicina al record storico. La pandemia, con lo stop al calcio e il tonfo delle Borse, il 12 marzo 2020 la fecero crollare a 0,545 euro. Ora la nuova inchiesta e il terzo aumento di capitale l’hanno di nuovo depressa a 0,41 euro.
Questa folle altalena solleva una domanda: ha senso (tranne che per i proprietari) quotare in Borsa una squadra di calcio? Ma nessuno, tantomeno Consob, pare volersela davvero porre. The show must go on.