Il Sole 24 Ore, 5 dicembre 2021
Se la cacio e pepe in india è un disastro ambientale
Cosa succederebbe se aveste mangiato sottilette tutta la vita, poi, di colpo, vi facessero assaggiare del vero formaggio? Dubito che dopo ne fareste a meno perché quelle fettine filanti non avrebbero più lo stesso appeal. È quello che sta accadendo in India da un paio di anni a questa parte, anche per colpa della nostra cacio e pepe che pare stia spopolando in giro per il globo grazie al web. Per decenni il mercato indiano è stato dominato dalle fette di formaggio fuso, mentre i benestanti e gli immigrati dovevano accontentarsi di costosi prodotti importati di dubbia qualità, ma di recente la richiesta è cambiata, favorendo la nascita di piccoli produttori, così oggi è possibile trovare formaggi freschi come mozzarelle, burrate, feta, oltre a cheddar, pecorino e parmigiano realizzati in loco. Ormai anche il mascarpone, indispensabile per fare l’amato tiramisù, viene realizzato da artigiani indiani che hanno seguito corsi nel nostro paese.
L’enorme successo dei formaggi è frenato però dalla possibilità di reperire latte di buona qualità per produrli e, considerata la valanga di richieste di prodotti caseari, non sarà semplice aggirare questo ostacolo. Se aggiungiamo che l’India è abitata da un miliardo e 380 milioni di persone -ovvero un miliardo in più di tutta la popolazione degli Stati Uniti – possiamo renderci conto delle dimensioni del mercato potenziale.
L’aumento indiscriminato dei capi allevati sarebbe un grave danno per il pianeta, nondimeno sarà difficile frenare la domanda di formaggio: cosa fare allora? Per ora la soluzione non è ancora a portata di mano, ma esistono alcuni esperimenti promettenti per produrre latte artificiale in tutto e per tutto identico a quello delle mucche, o almeno è quello che si spera di ottenere. Le ricerche stanno procedendo su un duplice binario: la fermentazione batterica, che sfrutta una tecnica simile a quella utilizzata per la produzione di proteine ricombinanti in biotecnologia, e la coltura cellulare di proteine mammarie che secernono latte in vitro. Magari non sarà come quello munto da una bruna alpina sui pascoli svizzeri, ma potrebbe essere l’inizio della soluzione per garantire un equo accesso al cibo e risolvere i problemi legati all’allevamento intensivo.