Avvenire, 5 dicembre 2021
Ai francesi del Trattato del Quirinale non frega nulla
Nel giorno della stipula del ’Trattato del Quirinale’, in prima serata, dopo un quarto d’ora dedicato alle sommosse in Martinica e alla pandemia, sono apparse finalmente sugli schermi le sagome vicine del premier Mario Draghi e del presidente Emmanuel Macron. Ma solo per qualche attimo, di sfuggita, nel quadro d’un lungo servizio sulle tensioni fra il capo dell’Eliseo e il premier britannico Boris Johnson. Della conferenza stampa romana di Draghi e Macron dedicata al Trattato, in effetti, la seguitissima edizione delle 20 del tg di France2, rete pubblica ammiraglia, ha mostrato solo il passaggio sulla dura reazione del capo dell’Eliseo alla lettera provocatoria giunta da Londra sulla crisi nella Manica.
Non che si fosse già fatto il pieno d’informazioni ’italiane’ nei tg delle 13: sui 2 giorni di trasferta romana di Macron, appena 20 secondi per segnalare en passant l’arrivo in auto del presidente in Vaticano per l’udienza con papa Francesco. Davvero «storico», dunque, l’accordo siglato al Quirinale? Per France2 e per altri canali tv transalpini di peso, non si direbbe. Maggior spazio hanno dedicato le radio, polmoni dell’informazione durante il giorno, e l’audiovisivo internazionale, come il canale France24. Ma in generale sono mancati resoconti dettagliati, nonostante si trattasse, per Parigi, del secondo trattato di cooperazione bilaterale privilegiata dal Dopoguerra. Di fatto, solo i siti d’informazione europeisti hanno davvero approfondito l’evento. Eppure, soprattutto sui temi culturali, non si può dire che reti come France2 o la privata Tf1 riservino scarso spazio al nostro Paese. Sui terrazzamenti coltivati a limoni della Costiera amalfitana, le sfilate di moda milanesi o il patrimonio di città come Venezia, Firenze o Roma, ad esempio, le immagini scorrono in abbondanza, nei tg o in altre trasmissioni. I resoconti in tono minore
riservati al Trattato del Quirinale saranno stati, forse, pure la conseguenza d’una giornata oscurata da non pochi ’nuvoloni’, come le già citate sommosse nelle contrade d’oltremare, l’arrivo della variante Omicron, le prime nevicate in montagna e l’ultima fiammata nelle già avvelenate relazioni franco-britanniche, su un nodo tanto delicato e drammatico come le politiche migratorie. In ogni caso, la sordina riservata al Trattato sembra pure pregna d’indicazioni, se non di lezioni. A livello generale, certo, una notizia costruttiva proiettata al futuro, come l’avvicinamento diplomatico solenne di due grandi Paesi, può sempre restare eclissata dal fragore immediato di scenari conflittuali, specie se interni. Ma sull’attuale versante francese, si tratta pure della conferma d’un disamore di ritorno per ogni nuovo capitolo della costruzione europea. Un tema, del resto, finora quasi assente nei dibattiti della corsa per l’Eliseo. In proposito, conviene ricordare che giunse proprio dalla Francia, nel 2005, il primo «no» capace d’azzoppare la Carta Ue, in mezzo a non pochi rigurgiti euroscettici e sovranisti. Si tratta dello stesso Paese che, negli ultimi mesi, ha offerto autostrade mediatiche a personalità euroscettiche estremamente controverse, come Eric Zemmour, che ha ufficializzato la sua candidatura per l’Eliseo. Del resto, del rischio di una ’zemmourizzazione’ della campagna si parla a ragione da mesi, anche se gli ultimi sondaggi danno l’ex polemista in sensibile calo. Non è dunque azzardato sospettare un’influenza di questo clima generale pure sulla percezione dell’accordo bilaterale, divenuto quasi ’fantasma’ a livello mediatico. Come se il Trattato del Quirinale fosse una pietanza difficile da servire, per il momento, a una Francia con evidenti rischi di ricaduta nel mal d’Europa. Una Francia, pure, fin qui pigramente abituata a ragionare sull’Unione inforcando solo le vecchie lenti del motore franco-tedesco, che rischia oggi seriamente d’incepparsi con la fine dell’era Merkel a Berlino