La Stampa, 5 dicembre 2021
L’ultima sfida di Caltagirone
L’exploit alle Generali, dove in una quindicina d’anni dall’1% arriva ad essere il secondo azionista con oltre il 7,5% e dove ora ingaggia battaglia per deciderne vertici e strategie. L’ascesa in Mediobanca, dove supera il 3% dietro solo a Leonardo Del Vecchio. Eppure Francesco Gaetano Caltagirone, 78 anni, coi suoi interlocutori, lo premette ogni volta: «Non sono un finanziere né un uomo di salotti, ma un imprenditore. Fuori dal mio gruppo si tratta solo di diversificare gli investimenti». Ingegneria delle costruzioni, sviluppo immobiliare, cemento, industria, editoria. E dopo, solo dopo, viene la finanza. Ma diversificando, uno degli uomini più facoltosi del Paese (gli si attribuisce un patrimonio da oltre 10 miliardi tra società e liquidità) scuote il cuore del potere economico. Per lui esistono due approcci. Quello del manager «che semina il grano a ottobre per raccoglierlo a giugno: ha fretta perché il suo mandato è limitato». E quello dell’azionista «che è come il contadino che pianta un pero: per sei anni può non succedere nulla ma sa che l’ha piantato e tiene duro». Perché per Caltagirone, Franco per gli amici, la proprietà conta: dà efficienza, assunzione piena del rischio.
Il quartier generale
Per questo, dove investe, vuole far sentire la sua voce. «In Italia abbiamo un problema – ripete sovente –: spesso i consigli di amministrazione seguono quelle che, in inglese, chiamano le "best practice". Non avendo idee, copiano dagli altri: ma se si vuole eccellere bisogna fare meglio degli altri. I cda talvolta mancano di imprenditorialità». Per Caltagirone è importante distinguersi. Un po’ come suo padre Francesco che nella Sicilia dei primi decenni del 900 saluta nonno Gaetano (già attivo nell’edilizia) per scapparsene a Roma: «Palermo è sul binario morto della storia», disse. Tra gli Anni 20 e 40 Caltagirone senior nella Capitale realizza buona parte di quella che oggi è via Barberini, dove è il quartier generale del gruppo. Papà Francesco muore ancora giovane a Buenos Aires dove si trasferisce nel primissimo dopoguerra. Francesco Gaetano Caltagirone torna a Roma e, quando è ancora adolescente, comincia a bazzicare i cantieri a fianco di suo zio. Mentre si laurea in ingegneria si mette in società con un cugino ma non ha soldi: glieli presta un amico che preferisce però non diventare socio. «E tutte le volte che l’ho incontrato nella vita s’è mangiato le mani», scherza l’imprenditore ogniqualvolta rievoca l’episodio. Sviluppa quello che sa fare: il business immobiliare. Tanto che oggi un romano su tredici vive in una casa costruita da Caltagirone.
Le svolte
La prima svolta arriva nell’84 con l’acquisizione della Vianini dal Vaticano: la fa crescere nelle grandi opere come la metropolitana di Caracas, le dighe in Oriente e lo sviluppo immobiliare a Hong Kong. Pochi anni dopo quota in Borsa Vianini Lavori e Vianini Industria. Le Ipo hanno successo e creano quel cuscinetto di liquidità che dà il via a nuovi acquisti, nell’impresa e nella finanza. Nel ’92 acquisisce dall’Iri, nell’ambito della prima privatizzazione, la Cementir, che oggi ha tutte attività fuori dall’Italia ed è leader nel cemento bianco. Nel ’95 tocca all’editoria: prima il Tempo, venduto per comprare il Messaggero, l’anno dopo il Mattino, per fondare nel 2000 la Caltagirone Editore, quotata anch’essa in Borsa, che si arricchisce di altri quotidiani. «Il nostro criterio principale nel comprare le aziende è scegliere delle Ferrari che però non carburano bene: abbiamo sempre ottimizzato le aziende portandole a una notevole creazione di valore», è la filosofia di Caltagirone. Accanto ci sono gli investimenti finanziari che si sviluppano su più filoni: utility (Acea e, prima che vendesse, Suez), banche e assicurazioni. La prima volta nel credito è con la Banca Nazionale dell’Agricoltura, poi tocca a Bnl: ricordate il contropatto con Ricucci, Coppola, Statuto & Co? Una stagione turbolenta che finirà con un processo - in cui viene assolto - e una plusvalenza da 300 milioni. Quindi ecco il Monte dei Paschi, da cui esce quando capisce che per aumentare la redditività la banca più antica del mondo sta imboccando la strada del depauperamento patrimoniale.
Le banche
Siamo nel 2012 ed è la volta di Unicredit, epoca Ghizzoni: entra rastrellando a buon mercato diritti nel corso dell’aumento di capitale. La cura dell’ad successivo Jean Pierre Mustier, però, non lo convince: troppo facile, quando le cose non vanno nel verso giusto, vendere i pezzi più pregiati come Pioneer e Fineco. «Si fanno plusvalenze ma si impoverisce la società», commenterà. Esce da Unicredit e, dopo una pausa, ecco l’ultima puntata: Mediobanca, dove ha tra il 3 e il 5% del capitale. «Un buon investimento», così lo considera. E un collegamento alla costante degli ultimi 15 anni, le Assicurazioni Generali, di cui è vicepresidente e secondo maggior socio: nel Leone ha investito circa 2,5 miliardi. E proprio a Trieste ingaggia l’ultima battaglia, per quello che chiama «l’elefante addormentato».
Le strategie di Trieste
Il sonnifero, secondo Caltagirone - che trova in questo piena sintonia con Del Vecchio al punto da stringere insieme con Crt un patto di consultazione che oggi supera il 15% con l’idea di arrivare al 18% - si chiama Mediobanca, primo socio di Trieste col 13%, 17,25% se si considerano i titoli presi a prestito in vista dell’assemblea che ad aprile deciderà i nuovi vertici del Leone. Per decenni, a suo dire, Piazzetta Cuccia ne avrebbe frenato lo sviluppo. Per questo oggi s’è messo di traverso alla lista del cda triestino: la considera una finzione giuridica per tenere le assicurazioni di Trieste alla catena degli eredi di Cuccia e per confermare alla guida l’ad Philippe Donnet, con cui non si parla da un anno e che, pur avendone approvato a suo tempo i piani, ritiene aver fallito nella politica delle acquisizioni, nella gestione dei costi e nella digitalizzazione. Per questo l’Ingegnere lavora con gli altri pattisti a una lista alternativa con un programma in cui si punta a spingere l’acceleratore proprio sullo sviluppo digitale, a investire in modo più importante di quanto fatto finora sull’asset management e su Banca Generali e con una strategia di fusioni e acquisizioni espansiva. Caltagirone è deciso a portare fino in fondo quella che lui e i suoi alleati chiamano la «guerra di indipendenza» delle Generali da Mediobanca. Uno scontro epocale da cui dipenderanno gli equilibri futuri della grande finanza italiana.