La Stampa, 5 dicembre 2021
La moglie Federica ricorda Paolo Rossi
La valigia dell’ospedale non è esattamente il ricordo che ci si aspetta di conservare, ma quella di Paolo Rossi è intatta. A un anno dalla sua morte, la moglie Federica, ogni tanto, ancora la apre: «Per sapere che è vero».
Scusi, non è un tormento?
«Non la tengo davanti agli occhi, ma mi capita di cercarla. Non mi va di mettere a posto quello che c’è dentro. Ho bisogno di emozioni forti, all’inizio bastava entrare in camera, poi le sensazioni svaniscono».
Per questo ha scritto «Per sempre noi due»?
«Me lo ha suggerito lui. Negli ultimi mesi guardavamo le foto delle bimbe, dei viaggi e Paolo ha detto "è una storia da raccontare". Lo considero un testamento per le mie figlie: quando si ama davvero lo si fa nel bene e nel male».
Ha svelato il vostro privato, ha persino pubblicato le lettere d’amore. Dopo una vita a non dire nulla, ora condivide tutto.
«L’affetto collettivo per Paolo non fa che aumentare. Per me lui non era il campione del mondo, lasciavo agli altri l’eroe nazionale e mi tenevo il mio amore. Quella separazione non c’è più. Ogni giorno ricevo lettere emozionanti e poi i comuni, anche i più piccoli, ci sommergono d’affetto con le iniziative per omaggiarlo».
Mentre il Pallone d’oro si è scordato di lui.
«Da tre giorni "France Football" prova a organizzare un incontro. Non subito. Non fanno che chiedere scusa».
Come?
«Così: "Signora è come quando si lascia un figlio in auto, non dovrebbe succedere mai". Sarà, ma ancora non capisco. Era un discorso preparato...».
In compenso la Fifa organizza una giornata al museo di Zurigo con i campioni del 1982.
«Sono diventati una famiglia, sono anche entrata nella loro chat, dove sto in disparte. Metto le comunicazioni, per il resto non mi intrometto. Guardo. Postano spesso foto di Paolo».
Con che numero di telefono sta nella chat?
«Con quello di Pablito. L’ho tenuto, come la mail, io non butto nemmeno un suo capello se lo trovo in giro».
Nel libro racconta una vostra visita a Bearzot ed è l’unico capitolo in cui lei sembra una spettatrice.
«Sì, ho capito che dovevano scambiarsi la memoria. Bearzot era malato, è stata l’ultima volta in cui si sono visti: si stavano confessando».
Scrive: «Ti avrei tenuto assopito, con le cannule e la maschera dell’ossigeno a toglierti la dignità». Lo avrebbe fatto davvero?
«Fino a 48 ore prima di andarsene era lucido e io quel Paolo, sì, me lo sarei tenuto e lo avrei amato in qualsiasi modo. Non gli avrei tolto gli occhi di dosso anche se non ci fosse stato più nulla da guardare».
La discussione di queste ore su una legge per il fine vita l’ ha fatto ripensare diversamente a quel giorno?
«No. Però quando lui è entrato in coma ho visto solo sofferenza. Lì ho detto basta, l’ho lasciato andare e il suo sorriso mi è rimasto stampato in testa».
Le ragazze giocano a pallone?
«No, ma la più grande è diventata super appassionata. Tifa Juve e ovviamente nazionale, siamo andate a vedere le partite degli Europei. A casa commenta, fa le telecronache. Abbiamo guardato insieme Italia-Brasile, con i tre gol di Rossi. Le bimbe scoprono adesso il papà calciatore e credo che sia un modo per tenerselo vicino. In una lettera Maria Vittoria ha scritto: "Guardare una partita è come stare accanto a papà"».
Si è detto che l’Italia vincitrice dell’Europeo somiglia a quella del 1982. Vero?
«Sì, Paolo lo ha capito dopo le prime sfide con Mancini ct "fa squadra, come faceva Bearzot". Magari ci sono meno stelle, allora quel gruppo era popolarissimo ma questi hanno tempo».
Lei è una giornalista, ha lavorato nello sport e suo marito ormai era una voce della tv. Che cosa ha pensato davanti alle molestie in diretta a Greta Beccaglia?
«L’ho conosciuta allo stadio, l’altra sera, per Perugia-Vicenza con dedica a Pablito. A lei va tutto il mio appoggio, gliel’ho detto e quel gesto è solo da condannare».
Si sente un però...
«Io le scuse le avrei accettate, senza giustificare nulla».
Siamo ancora al dibattito sulle belle in tv?
«È la tv, sarebbe ipocrita pensare che l’immagine conti zero ma soprattutto è ridicolo supporre che una bella non possa essere brava. Se ci sono le due cose, perché no?».
Paolo Rossi come avrebbe reagito in diretta?
«Chi lo sa. Avrebbe trovato il modo giusto, per lui la tv era un modo di arrivare alle persone che lo amavano e aveva un gran rispetto, degli spettatori e dei colleghi, della qualità che si vedeva intorno. Sempre pacato e competente e divertente. Nell’ultimo collegamento che ha fatto con l’i-Pad, non riusciva a stare neanche più seduto eppure quanto era bello ascoltarlo».