Corriere della Sera, 5 dicembre 2021
Caro Pablito, ti scrivo
UCINE (Arezzo) «Non so neppure io perché ti scrivo. Lo so bene che non ci sei più da quasi un anno. Ma ci tenevo comunque a farti sapere che ti sono ancora debitrice, per quell’estate meravigliosa, quando grazie ai tuoi gol tutto sembrava possibile e il futuro all’improvviso cominciò a farmi meno paura».
Nel luglio del 1982 aveva appena compiuto diciott’anni, la signora di Mortara che pochi giorni fa ha scritto all’indirizzo dell’agriturismo Poggio Cennina di Bucine, l’ultima residenza terrena di Paolo Rossi. E quell’entusiasmo, quella gioia che provò insieme a tutti gli altri, a tutti noi, sono ancora un luogo dove rifugiarsi, con l’illusione di essere al riparo dalla malinconia, dalla solitudine, dalle scosse del tempo. Perché la vita non fa sconti a nessuno, non li ha fatti all’autrice della lettera, che racconta come il seguito della sua esistenza non abbia mantenuto le promesse di quel tempo ormai lontano. E neppure a lui, il nostro Pablito, che se ne andò nella notte tra il 9 e il 10 dicembre del 2020. «Queste saranno le prime feste senza la persona che avete amato di più» afferma rivolgendosi alla moglie Federica e alle figlie Maria Vittoria e Sofia Elena. «So come ci si sente, purtroppo. Ma voi non dovete sentirvi sole... anche se non potete vederci, siamo in tanti ad essere ancora grati al vostro Paolo, perché i bellissimi ricordi che lui ci ha regalato continuano a farci compagnia».
«Che bello. Siamo già in clima natalizio, le bimbe saranno felici». Federica mostra l’ultimo sms. Le aveva risposto dopo aver visto la foto delle decorazioni in casa. Era il 4 dicembre, era in ospedale, mancava poco. Oggi il salottino al pianterreno dove era stato allestito il suo giaciglio, stava troppo male per salire le scale, è arredato con un albero di Natale a testa per ogni membro della famiglia. Quello di sua moglie è una cascata di luce, quelli delle figlie sono piccoli e colorati. L’albero di Paolo è il più alto e il più tradizionale, quasi sobrio nella sua essenzialità. Ma i tanti colori non riescono a scacciare questa sensazione di penombra. «Le ragazze sono brave» racconta Federica. «Insieme, stiamo affrontando un percorso. E l’affetto incredibile che continuiamo a sentire intorno a lui ci aiuta molto».
Nella stanza accanto, migliaia di lettere sono raccolte in tante scatole di cartone, ma anche nei cassetti della credenza all’ingresso, ovunque. La morte non è mai la fine, come cantava il suo amato Bob Dylan. Quando arrivò la notizia, e con essa un senso di smarrimento collettivo, si formò anche un’onda emotiva oggi più difficile da vedere, ma che non accenna a scendere. Caro Paolo, ti scrivo. Cara Federica, ti scrivo per consolarti e per ricordare Paolo. «Gentilissima Signora Rossi, non sa cosa ha significato per me perdere il mio mito di ragazzo. Paolo ha rappresentato la più bella gioventù, la felicità, la rivincita. Vorrei dirle che con mia moglie sono vicino a lei e alle sue creature. Ho un solo desiderio: sapere dov’è custodito il corpo del mio eroe. Se non potrà dirmelo accetterò la sua decisione ma mi creda, sarebbe un regalo per me. La abbraccio con affetto». «Cara signora Rossi, non passa giorno che non pensi al suo grande Paolo e al vuoto che ha lasciato. Mi piacerebbe portare fiori sulla sua tomba. Mi sa dire se devo venire a Bucine? La saluto con rispetto».
La scorsa primavera, due pullman provenienti da Rivoli, provincia di Torino, si fermarono davanti all’agriturismo. Ne scesero quaranta persone, partite all’alba per andare in pellegrinaggio sulle tracce di Rossi. Quasi ogni giorno, qualcuno suona al campanello, chiedendo di poter scattare una foto davanti alla sua gigantografia che campeggia su un muro nel giardino. Non esiste una tomba che possa diventare simbolo visivo dell’affetto per quest’uomo e del nostro eterno bisogno di aggrapparci ai momenti belli, ai migliori anni della nostra vita. Le sue ceneri sono raccolte all’interno di una riproduzione della Coppa del mondo. Federica le custodisce in un posto segreto, perché la memoria del funerale di Vicenza, una cerimonia che divenne rito collettivo, dove si sentiva forte l’intensità di quell’affetto arrivato intatto fino a oggi, venne invece sporcata dal furto avvenuto in contemporanea nella casa di Bucine lasciata incustodita.
L’assenza di un luogo fisico per il ricordo non ha interrotto una dialogo che è soprattutto autocoscienza, esercizio di nostalgia e di consolazione. Le lettere e le mail che continuano ad arrivare a Bucine sono ormai più di diecimila. Un dato sbalorditivo, che dice più di ogni altro attestato di stima. L’Italia parla ancora con Pablito. Gli scrive, invia messaggi al suo numero di telefono, divenuto chissà come di pubblico dominio, a Federica, alla sua famiglia. E leggendo, viene fuori una parte di Paese e di una generazione che non ama il proprio presente e cerca rifugio in un passato idealizzato, ma è composta da persone di buoni sentimenti.
«Quando immagino Paolo lassù che ride e scherza con il vecio Bearzot e con il nostro grande Presidente partigiano» scrive un pensionato di Bologna, «sorrido anch’io, e questa almeno è una piccola consolazione, come lo fu per me il pensare a quella squadra fatta da persone vere durante alcuni miei anni molto difficili». Lettera da Noverasco, periferia milanese. «Gentile Federica, a distanza di mesi non riesco a farmi una ragione di questo dolore. Forse, il segreto di Paolo è quello di essere stato un ragazzo genuino, vero, normale, uno di noi. Spero che il Signore le dia sempre tanta forza». Ognuno ha un ricordo, una immagine personale che sente il bisogno di condividere con chi sente più di chiunque altro la sua mancanza. Alla fine, si torna sempre a quell’estate, a un momento della nostra vita che non vorremmo mai lasciare andar via. «Non sono più stato così felice come lo fui al fischio finale di Italia-Brasile 3-2» scrive un uomo di Ragusa. «All’epoca non potevo sapere che certe emozioni sono una cosa rara, da custodire nel cuore. Ma chi ha avuto la fortuna di provarle, sarà sempre grato a Pablito».
Ormai è buio. Fuori, l’unica luce è l’insegna dell’agriturismo. Federica ripone le lettere in uno dei tanti scatoloni. Alcune non è riuscita neppure ad aprirle. Tra poco sarà un anno. Lei e le bambine sono richieste ovunque, questa sarà una settimana di celebrazioni. Dalla pila sul tavolo cade un altro foglio scritto a mano. È firmato dagli ex alunni di un liceo genovese. «La sua immagine con le braccia verso il cielo e la maglia azzurra ci ha fatto compagnia per tutti questi anni. Paolo Rossi hombre del partido, per sempre».