Corriere della Sera, 5 dicembre 2021
Gli Stati Uniti, la Cina e a la trappola di Tucidide
Ho già ricordato in altre occasioni il libro in cui uno studioso americano (Graham Allison) ha descritto la «trappola di Tucidide». Secondo lo storico ateniese è la situazione in cui si trovano due Stati che, dopo essersi affrontati con mosse e atteggiamenti crescentemente ostili, finiscono inevitabilmente per ricorrere alle armi. Era questo per Allison il caso della Repubblica popolare cinese e degli Stati Uniti: due potenze che sembravano destinate a scivolare verso un inevitabile conflitto. Ma vi sono oggi, rispetto al passato, alcune importanti differenze. Gli Stati sanno ormai quali potrebbero essere gli effetti di un conflitto con armi sempre più letali, i dittatori sanno che la sconfitta avrà per effetto una loro probabile scomparsa e nessuno può ignorare che è sempre meno raro il caso in cui un Paese con le spalle al muro cercherebbe di ricorrere all’arma nucleare. Ma oggi uno Stato può anche scegliere di ricorrere ad altre guerre combattute con armi diverse. La più spregiudicata è la guerra dei dazi. È stata scatenata contro le importazioni cinesi dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump nel 2018 ed è continuata negli anni successivi con fasi alterne e qualche ripensamento. Dopo l’elezione di Biden alla Casa Bianca vi è stato, nelle relazioni commerciali dei due Paesi, qualche ripensamento, ma la guerra commerciale continuerà ad essere quella preferita dai Paesi che si considerano danneggiati dalla spregiudicatezza con cui la Cina, in questi anni, ha conquistato numerosi mercati stranieri.
Subito dopo la guerra dei dazi viene quella cibernetica. Numerosi episodi degli scorsi anni hanno dimostrato che un attacco informatico può distruggere sistemi di comunicazione, penetrare meccanismi e reti protettive, paralizzare industrie e sistemi necessari per il funzionamento di una intera macchina statale, ostacolare ricerche in corso e inceppare la strumentazione necessaria per sperimentare apparati nuovi e delicati. In un articolo pubblicato sul Financial Times del 27 novembre, una giornalista inglese, presidente del Comitato editoriale del giornale (Gillian Tenn), scrive che la Cina starebbe rubando agli Stati Uniti materiale scientifico per una somma collocata fra i 300 e i 500 miliardi di dollari. Secondo un altro articolo del Financial Times scritto da Nicolas Chaillan, gli americani starebbero perdendo anche la battaglia dell’intelligenza artificiale. Fra gli obiettivi che questa disciplina si propone vi è stata anche la costruzione di un macchina pensante e parlante capace, per esempio, di giocare a scacchi contro un essere umano. La prima partita ebbe luogo a Filadelfia fra Garry Kasparov e un computer il 10 febbraio 1996. Kasparov la perdette, ma si riscattò con due vittorie e tre pareggi nelle partite successive. Così vorremmo che fossero combattute le guerre di domani.