Priscilla, che cos’è una Drag Queen?
«Semplicemente un personaggio che fa spettacolo. Drag Queen tradotto vuol dire regina dello strascico, oppure regina dei trascinatori. Puro intrattenimento fatto di costumi, parrucche e make-up esagerati. Drag è una forma d’arte e non ha genere. Certo, il vissuto di una persona incide molto sulla sua voglia di fare drag, molte di noi sentono il palco come fiera affermazione di se stesse. Per me una drag deve sempre farsi portavoce della comunità LGBTQI+ e diffondere un messaggio di libertà e inclusione».
Non si è mai sentita costretta in un corpo sbagliato?
«No, fin dall’infanzia ho intuito di avere una sensibilità diversa dagli altri bambini che mi faceva apparire più debole e quindi facile bersaglio dei bulli. Preferivo la danza al calcetto, la compagnia delle femminucce a quella dei maschietti. Non amavo il mio corpo perché ero cicciottello, altro pane per il bullismo. Mi sentivo sbagliato non perché ero un maschietto, ma per le sensazioni e la curiosità che provavo proprio nei confronti degli altri maschi».
Quando è stata la prima volta che ne ha parlato con qualcuno?
«Con un prete durante la confessione. Sa, ero un adolescente e facevo il chierichetto. La sua risposta fu: prega e allontana questi pensieri impuri. Qualche anno dopo l’ho incontrato in una discoteca gay».
In famiglia come andò?
«Più che bene. Mia nonna Vincenza, detta Nonna Rossa per il colore infuocato dei capelli, mi regalò la mia prima Barbie. Rigorosamente pezzotta, falsa. Fumatrice accanita, andava a comprare le sigarette di contrabbando in un basso camuffato da negozio di giocattoli e dolciumi e spesso mi portava con sé: tornavo sempre a casa con un bottino. Quella volta, quando mi chiese di scegliere, ebbi il coraggio di indicare una Barbie e lei senza dire una parola la prese dallo scaffale e me la mise tra le mani. In quel momento mi sono sentito il bambino più felice al mondo».
Quando ne parlò con i genitori?
«Genitori e amici, ho fatto tutto in un giorno solo. La mia famiglia ha accettato la mia omosessualità dopo una prima reazione di smarrimento. Avevo 19 anni. Ho capito che dovevo aiutarli e dare loro le giuste informazioni per accettarmi. E così è stato: gli ho fatto solo comprendere che avere un figlio gay non è diverso dall’avere un figlio etero. E gli ho trasmesso la mia serenità nell’essere stato finalmente sincero con loro. E così è cominciata la nostra storia di famiglia rainbow. Mamma Antonietta ha cucito i primi vestiti di Priscilla, papà Bruno le ha fatto da bodyguard».
Come è nata Priscilla, la sua vena en travesti?
«Da piccolo mi piaceva creare abiti con le lenzuola del mio letto. Amavo ballare, recitare, esibirmi, insomma, stare al centro delle attenzioni, non necessariamente in abiti femminili. Ho lavorato in teatro, come ballerino e come attore. Poi ho scoperto la passione per il trasformismo e l’arte drag partecipando al programma tv Al posto tuo, condotto da Alda D’Eusanio. Era il 2002. Interpretavo la parte di un ragazzo che confessa alla fidanzata di fare la drag queen. Fu la prima volta che mi vidi nei panni di Priscilla e me ne innamorai».
Napoli è stato il luogo ideale, un grande palcoscenico?
«Non poteva esistere posto migliore. Quando è nata Priscilla i napoletani l’hanno accolta come una figlia del Vesuvio. Certo, mi hanno anche messo a dura prova perché troppo spesso facevano un po’ di confusione: Priscilla è nu travestit.. . è nu femmenell... è na femmena over? Insomma che si’? Quante volte ho dovuto rispondere a queste domande. La mia gavetta è stata intensa e tutta napoletana. Non mi sono fatto mancare nulla: matrimoni, comunioni, battesimi, compleanni, lauree, addii al celibato e nubilato, sagre e feste di piazza. Ho fatto pure un addio al laicato per un ragazzo che entrava in seminario. Il mio primo costume di scena è stato realizzato proprio da un amico napoletano utilizzando le piume di uno spolverino».
Quanto è stato difficile essere ciò che senti di essere in una comunità che si rivela spesso arretrata e ostile?
«È complicato essere omosessuale in una società maschilista che non accetta sfumature e discrimina chi non risponde a specifici canoni di eterosessualità. La storia ci insegna che la comunità LGBTQI+ ha sempre dovuto combattere e deve continuare a farlo per veder riconosciuti i propri diritti di persone».
Come reagì il pubblico dei primi spettacoli?
«All’inizio con insulti e offese. Quando ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo che non riusciamo a inquadrare alziamo un muro, ci mettiamo sulla difensiva e diventiamo aggressivi. Succedeva esattamente questo con me. Ho imparato a rispondere agli insulti con ironia e severità. Poco alla volta è subentrato il rispetto. Molti credono che, visti i nostri look esagerati, indossiamo una maschera per nasconderci e un’armatura per difenderci. È l’esatto contrario: noi drag ci mettiamo a nudo sul palco, mostriamo e viviamo la nostra parte più intima con umanità e vulnerabilità».
La battaglia politica sui nuovi diritti dura da anni. Visto dai suoi occhi a che punto siamo?
«Ho riscontrato cambiamenti positivi con la legge sulle unioni civili anche se avrei preferito un provvedimento che prevedesse il matrimonio tra persone dello stesso sesso, il riconoscimento dalla nascita da parte di entrambi i genitori dei figli delle coppie omogenitoriali e, in generale, l’accesso a tutti gli istituti che il nostro Paese già prevede per gli eterosessuali, per esempio l’adozione. Con l’affossamento del ddl Zan l’Italia ha sicuramente fatto parecchi passi indietro in tema di diritti civili: è una legge che tutela tutte le cittadine e i cittadini, non solo le persone LGBTQI+. Nel mondo ci sono 72 Stati in cui l’omosessualità è reato, in sette viene punita con la pena di morte. Per fortuna non siamo a questi livelli ma in Italia c’è ancora tanto lavoro da fare per definirci un paese civile e democratico».
Se Priscilla è un artista, Mariano che cos’è?
«Un attore teatrale. Anche se non si è mai limitato a questo: ha fatto il cameriere, il dj, l’animatore, il ballerino e l’istruttore di fitness. Durante la pandemia, visto che Priscilla era a riposo forzato a causa del blocco degli spettacoli, è diventato insegnante di italiano per i ragazzi stranieri che dovevano affrontare l’esame per il permesso di soggiorno».
Lei è uno dei giudici, sulla piattaforma Discovery+, di Drag Race Italia. A chi si ispira?
«La drag per eccellenza che ammiro è RuPaul, che noi tutte chiamiamo Mama Ru. È lei la mia musa. È lei che ha sdoganato l’arte drag nel mondo e ha dato a noi tutte la possibilità di uscire dall’ombra. Ci ha fatto sentire fiere. Con RuPaul, a partire dal 2009, Drag Race ha cominciato una rivoluzione che ha coinvolto tutto il mondo e finalmente ora anche il nostro Paese».
Vorrebbe poter rinascere donna?
«No, mai. Sono una persona cisgender ovvero mi riconosco nell’identità di genere attribuitami alla nascita, quella maschile. Vorrei rinascere esattamente come sono: non mi sento affatto donna e non desidero esserlo».
Chi c’è nella sua vita privata?
«La mia famiglia e i miei amici. Dedico a loro tutto il mio tempo libero e le mie energie. Non ho un compagno, a 45 anni posso definirmi zitello. Ma sento che è il momento giusto per costruire qualcosa di mio. Voglio un marito e dei figli. Aspetto il principe azzurro. Magari è al galoppo e sta per raggiungermi».