la Repubblica, 5 dicembre 2021
I mondiali di pelota
Forse c’entra anche l’orgoglio ritrovato, quello spirito rivendicativo che ha preso piede tra i popoli del Centramerica in coincidenza con i 500 anni dell’invasione dei conquistadores. Tra gli «abusi commessi durante la dominazione coloniale», denunciati con forza sei mesi fa dal presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, ci fu – non il peggiore ma sicuramente significativo –anche la proibizione da parte degli spagnoli del gioco della pelota maya, conosciuto nella lingua locale anche come Pok Ta Pok. Un gioco antichissimo le cui origini si perdono nella notte dei tempi: è possibile che, nella sua versione originaria, fosse praticato già intorno al 1400 avanti Cristo in una zona del Chiapas messicano. Quel gioco è tornato oggi in voga con un “campionato del mondo” che è in realtà un mondo delimitato dai confini dell’area mesoamericana: dal sud del Messico al Guatemala, dal Salvador al Nicaragua, Honduras e Belize. Ed è stato proprio questo piccolo Paese che si affaccia sul Mar dei Caraibi a imporsi nella competizione disputata nella penisola dello Yucatán e seguita con curiosità per tanti motivi.
Il primo è dato dalle peculiarità di questo “gioco della palla” in cui non è permesso l’uso dei piedi e neppure delle mani. Ci vuole parecchia energia, e anche destrezza e agilità, per colpire il pesante pallone di caucciù (due chili) solamente con le anche, saltando quando occorre o gettandosi a terra quando rimbalza a livello del suolo. Il contatto con qualsiasi altra parte del corpo comporta una penalità nel punteggio delle squadre. Che sono formate da quattro atleti – torso nudo, pantaloncini di pelle di vacca, una fascia di pelle alla cintura e un altro cinturone di pelle all’altezza de glutei – e hanno l’obiettivo di superare, a colpi d’anca, la linea di fondo della formazione avversaria: è la meta equivalente al gol, che consente di mettere nel carniere quattro punti.
Ma al di là dello spirito competitivo, sempre importante in ogni attività agonistica, per gli indigeni maya c’è un orgoglio tutto particolare nell’aver riportato in auge questo gioco antichissimo. Perché la pelota fa parte della spiritualità stessa di questo popolo. E infatti già nel Popol Vuh, libro sacro delle origini dei maya quiché, bibbia indigena del Guatemala e dell’America precolombiana, si fa chiaro riferimento a questo gioco come qualcosa di più di un semplice sport. Anticamente era considerato come un’alternativa alla guerra, un modo per risolvere le dispute – conflitti sulla proprietà della terra soprattutto – senza spargimento di sangue.
Un affare molto serio, insomma. Che richiede la preghiera rituale programmata prima dell’inizio di ogni incontro. Con tanto di invocazione del signore degli inferi, Xibalba, e dei tredici dei della cultura maya.