Anzi, prima donna a dirigere l’ammiraglia dell’informazione Rai. Non sono passati dieci giorni da quando è stata nominata e già qualche cambiamento in video si inizia a vedere.
Sbaglio o è sparito il vecchio “pastone” politico, l’intramontabile classico del tg pubblico?
«Eh già, il pastone non c’è più, sembrava fosse immortale e invece…Comunque niente di cruento, ho solo chiesto ai colleghi che si occupano di politica di farci capire cosa sta succedendo. Che succede oggi? Qual è la notizia più importante? Niente di diverso da quello che fate voi».
Il pastone politico, con quella microdichiarazione concessa a ciascun partito a partitino, teneva buoni tutti. Hai già ricevuto telefonate di protesta degli esclusi?
«Zero. È chiaro che siamo il Tg1, dobbiamo stare più attenti, avere più equilibro. Ma senza stare lì con il bilancino. Il filtro, lo sguardo, deve essere sempre giornalistico».
Com’è tornare da direttore nel luogo dove hai cominciato? A proposito direttore, direttrice o direttora?
«Se fossimo all’estero, sarei editor-in-chief, senza declinazioni di genere. Qui sono Monica, anche perché qua dentro ci sono nata, c’ho lavorato dal 1995 dopo il concorso e un primo contratto con Tv Sette».
Dicevamo, che cosa hai trovato?
«Molte cose le conoscevo, molte sono cambiate. Quello che ho detto subito è: dobbiamo fare un grandissimo sforzo per ricominciare a raccontare insieme il Paese e il Mondo, nella sua complessità, rendendo il nostro racconto televisivo comprensibile per chi sta a casa. Semplice e difficilissimo».
Ho visto un servizio sul taglio ai costi delle bollette che mi ha colpito. Chiedevate ai politici dove avrebbero preso i soldi per abbassare la bolletta…
«È un esempio di quello che dobbiamo fare. Il governo ha detto una cosa importante: saremo vicini alle famiglie e freneremo i rincari dell’energia. Bene ma, se questa è la priorità, cosa passa in secondo piano? Dare alla politica la possibilità di tornare credibile, parlando direttamente alle persone dei loro problemi concreti, è un modo di fare servizio pubblico. Se parli di bollette ti ascoltano, se parli solo della contrapposizione tra l’uno e l’altro, forse è meno interessante e il pubblico cambia canale».
Siamo alla vigilia di un passaggio importante come l’elezione del Presidente della Repubblica. Come va a finire?
«Nessuno lo sa, penso nemmeno i protagonisti. Di certo è una fase di grande rimescolamento dei rapporti: l’arrivo di Draghi è stato un elemento che ha costretto la politica a trovare una forma diversa, ha costretto tutti a fare un percorso di ri-costruzione della propria identità. Alla fine, e mi proietto oltre il Quirinale, ci troveremo un assetto politico che solo un anno fa non ci saremmo mai immaginati».
A proposito di Draghi, ti hanno definito draghiana. Ti arrabbi?
Ride. «No, mi arrabbio solo quando pubblicano apposta foto brutte».
I Cinque Stelle non l’hanno presa bene a vedersi sfilare sotto il naso il Tg1. Hanno persino minacciato di non andare più nei salotti tv della Rai, salvo cambiare idea dopo pochi giorni. Con Conte che rapporto hai?
«Con il presidente Conte c’è sempre stato rispetto. Credo che sia un sentimento reciproco.
Quando conducevo SetteStorie feci con lui quella camminata di notte ai Fori Imperiali, mi raccontò la sua vita…Poi ci sono le dinamiche della politica. Ma non penso che il M5S abbia una questione personale nei miei confronti».
La politica si fa sentire in maniera assillante?
«Io sono per parlare con tutti, ma sapendo i confini del mio lavoro e del loro. La chiave, il metodo vorrei dire, è il rispetto reciproco. Il rispetto del giornalismo».
Che innovazioni si deve aspettare il pubblico del Tg1?
«Niente cose macroscopiche, ma ci sarà più racconto del Mondo, anche perché è quello il mio sguardo naturale sulle cose.
Inoltre, ormai la scala dei problemi è sempre più grande, devi per forza andare oltre i confini nazionali».
Ho visto ieri sera un servizio sulle supply chain , intendi questo?
«Esatto, se devi spiegare perché oggi per avere un auto devi aspettare sei mesi, è chiaro che devi partire dal blocco delle catene di distribuzione, dalla carenza dei semiconduttori, dalla corsa ad accaparrarsi i container nei porti del mondo. Così il racconto, partito da una concessionaria italiana, finisce magari in un porto cinese.
Devi mettere le persone in grado di capire perché succedono le cose».
Vedremo molti reportage?
«Sì, ma intendiamoci: il reportage si può fare anche fuori dalla porta di casa nostra, non è che devi andare per forza in Afghanistan.
Siamo raccontatori di storie, questo siamo».
I telegiornali sono ormai destinati a un pubblico anziano?
«In parte, in gran parte, è così. Per questo la sfida è portare il nostro racconto anche in territori dove oggi non ci siamo, come i social o il digitale. Una cosa che mi piacerebbe fare è “allungare la coda” del Tg, che non può essere solo quello che va in onda in quella mezz’ora. Il Longform, che voi state sperimentando, è un lavoro che dobbiamo fare anche noi. Ti porta a intercettare un audience diversa, una generazione diversa, che non necessariamente guarda il Tg1.
Abbiamo un patrimonio enorme di riconoscibilità che dobbiamo sfruttare su tutte le piattaforme: i nostri volti, l’ accountability delle nostre firme, la nostra credibilità, vanno messe e a frutto nel sistema digitale della Rai».
Il Tg1 sui temi “divisivi” è sempre stato molto paludato.
Come farai a parlare di gender, eutanasia, droga?
«Tenendo dentro sensibilità diverse, provando a far sentire tutti a bordo».
Due opinioni sempre a confronto?
«Non necessariamente, non voglio fare un “panino” etico. Le opinioni diverse non vanno per forza esposte nella stessa edizione.
L’importante è restare aperti, nel lungo periodo, a tutti i punti di vista».
Darai il microfono anche ai no vax? Come sai c’è molta discussione su questo.
«No, se ci va di mezzo la vita delle persone non puoi mettere sullo stesso piano uno scienziato e il primo sciamano per passa per la strada. Deve tornare a contare la competenza, non tutte le opinioni hanno lo stesso valore».
Auguri.