Corriere della Sera, 4 dicembre 2021
Gli affari di Macron nel Golfo
Mentre il presidente Emmanuel Macron conversava con il principe ereditario Mohammed Bin Zayed (noto come MBZ) nei luoghi dell’Esposizione universale di Dubai, il direttore generale di Dassault Aviation, Eric Trapier, ha firmato il più importante contratto di fornitura militare dell’industria aereonautica francese: 80 aerei da caccia Rafale vengono venduti agli Emirati Arabi Uniti per 17 miliardi di euro.
Macron si prende il merito di portare a buon fine una trattativa cominciata 13 anni fa da Sarkozy e proseguita fra alti e bassi da Hollande. Un successo che sottolinea il nuovo peso della Francia nella regione del Golfo in concomitanza con il progressivo disimpegno americano, ripaga almeno in parte la Francia dello smacco di metà settembre quando l’Australia stracciò l’accordo dei sottomarini, e potrebbe portare a triplicare i posti di lavoro che ruotano intorno al Rafale (oggi 7000 con 400 aziende coinvolte oltre a Dassault). Un aereo operativo dal 2004, che per anni nessuno al di fuori della Francia ha voluto, e che ormai fa parte dell’aviazione militare di sei Paesi stranieri (dopo l’Egitto, il primo nel 2015, Qatar, India, Grecia, Croazia e Emirati).
«Penso che gli Emirati arabi uniti e il principe ereditario abbiano capito che la Francia è un partner solido nella lotta al terrorismo e un alleato affidabile, capace cioè di mantenere i suoi impegni nella regione», ha detto un Macron entusiasta, con una chiara allusione al ritiro americano.
Il clima di grande soddisfazione è rotto in Francia dalle proteste dell’opposizione, in particolare di sinistra. Il candidato ecologista alle presidenziali Yannick Jadot, sostenuto dalle ong in difesa dei diritti umani, definisce il contratto «una vergogna».
Il presidente
Bisogna parlare con i sauditi per la stabilità nella regione, impossibile ignorarli
«La Francia ci fa vergognare quando arma regimi autoritari che disprezzano i diritti umani e si arricchiscono grazie alle energie fossili», ha detto Jadot. Le obiezioni alla politica estera della Francia «patria dei diritti umani» non sono nuove, e anni fa colpirono anche il socialista François Hollande impegnato nelle trattative per l’affare concluso ieri con gli Emirati arabi uniti.
Ma non si tratta solo dei Rafale. La missione di Macron nel Golfo arriva dopo le rivelazioni del sito Disclose sull’aiuto militare e di intelligence francese all’Egitto, usato dal dittatore Al Sisi per bombardare i trafficanti al confine con la Libia e per reprimere i dissidenti.
Dopo il contratto record con MBZ e uno scalo nel Qatar, oggi Macron incontrerà in Arabia saudita MBS, ovvero il principe Mohamed Ben Salman. Sarà così il primo leader occidentale in carica a stringergli la mano in un incontro bilaterale (Matteo Renzi era solo un senatore) dopo l’uccisione nel 2018 del giornalista Jamal Khashoggi, rompendo una sorta di embargo internazionale durato tre anni.
Macron però rivendica la scelta e la fruttuosa visita politico-militare nel Golfo. «Bisogna parlare con i sauditi per la stabilità della regione – ha detto ieri —. Faccio notare che l’Arabia saudita ha organizzato il G20 nell’anno successivo al caso Khashoggi, e non ho visto molte potenze boicottarlo. Non si può avere un ruolo nella regione, non si può cercare di aiutare il Libano, per esempio, se si ignorano i sauditi». Coincidenza, ieri si è finalmente dimesso a Beirut, in seguito a pressioni francesi, il ministro dell’Informazione Georges Kordahi, vicino a Hezbollah e inviso a Riad,che resisteva al suo posto da un mese e che veniva giudicato un ostacolo alla ripresa degli aiuti dall’Arabia saudita al Libano.