il Fatto Quotidiano, 4 dicembre 2021
Chi è Violette Leduc
“Su una foglia appassita d’insalata dove non restano che rimpianti da rimasticare, posso al massimo trovar ragioni di compiacimento. Il passato non nutre. Me ne andrò come sono arrivata. Intatta, carica dei difetti che mi hanno tormentata. Avrei voluto nascer statua, e sono solo una lumaca nel guscio”.
Si apre così La bastarda, l’opera che nel ’64 rese famosa Violette Leduc in Francia, ora riedita da Neri Pozza che ha già ripresentato Thérèse e Isabelle per rilanciare una penna cardine del 900 ancora poco nota in Italia. La prefazione è di Simone de Beauvoir che nel ’58 le suggerisce di scrivere un racconto autobiografico. Leduc è sconcertata. Ha cinquant’anni, teme che la memoria la tradisca, “mi sono salvata grazie alle ondate dell’immaginazione” dirà, e si chiede a chi potrebbe interessare la vita di una sconosciuta, di una bastarda nata dalla relazione tra una cameriera e l’erede della famiglia presso cui era a servizio, che mai la riconobbe. Un conto è esser l’autrice de Il secondo sesso ma lei chi è?
Con tre romanzi all’attivo è a quel tempo ancora scrittrice per scrittori (Camus la introduce in Gallimard, Genet e Sartre la elogiano) ma i lettori latitano o la bollano scandalosa. Quando decide di seguire il consiglio di Beauvoir è il 23 giugno 1962. Ne La bastarda convivono tutte le sfumature dell’eterna lotta con se stessa a trovare forma e senso solo nella scrittura: solitudine estrema, folle sete d’amore, le relazioni perse e impossibili in partenza, erotismo “chiave privilegiata del mondo”, la convinzione di esser brutta dunque non desiderata e di poco valore e allo stesso tempo la smania per l’indipendenza, l’egocentrismo, i capricci, la fuga dai legami quando si fanno troppo stretti.
Servito da uno stile preciso quanto appassionato, istintivo ma poetico, La bastarda prende avvio dall’infanzia, un “duro paradiso” vissuto accanto a una madre che la considera un errore per proseguire con gli anni del collegio a Douai tra ribellione, insofferenza alle regole ma anche iniziazione ai sentimenti e alla carnalità perché è lì che sperimenta un trasporto febbrile prima per la compagna Isabelle e poi per l’insegnante di musica Hermine. E ancora Parigi dove incontra Maurice Sachs, scrittore ebreo omosessuale di cui s’invaghisce salvo poi sposare un vecchio amico fotografo, legame destinato a finire malissimo per terminare con la parentesi in Normandia dove scappa con Sachs e che coincide con la stesura de L’asfissia, l’esordio che lui la sprona a metter su carta non potendone più dei suoi racconti d’infanzia, sino al ’44, quando lui parte per la Germania lasciandola a campare di mercato nero. È qui che si ferma la narrazione, a pochi mesi dall’incontro che le cambierà la vita, quello con Beauvoir, al café Flore di Parigi, quando le allungherà il manoscritto de L’asfissia.
La bastarda, scrive nella postfazione Carlo Jansiti, “è la trasposizione romanzesca di una vita. Non è un regolamento di conti ma una spietata requisitoria contro di sé e al tempo stesso una redenzione”. A una giornalista Leduc disse: “Ho cercato di essere franca, perché non c’è nessuna ragione che sia riservato agli uomini di parlare delle questioni intime. Quando scrivo posso raccontare tutto, niente m’imbarazza. Sono sola con me stessa”. Chi non resta solo è il lettore, travolto da una piena.