Il Sole 24 Ore, 4 dicembre 2021
Powell, un pompiere che si comporta come un piromane
Il presidente della Federal Reserve Jerome “Jay” Powell fa di mestiere il pompiere, ma nei fatti si comporta come un piromane. Le sue parole dello scorso martedì sono un caso di scuola su come non si comunica la politica monetaria.
Nel corso di un’audizione di fronte al Senato, e in risposta a una precisa domanda sulla natura «transitoria» dell’inflazione, il presidente Powell ha ribadito: «Penso che sia giunto il momento di smettere di usare quella parola».
Antefatto: almeno fino all’ultima comunicazione ufficiale, avvenuta lo scorso 3 novembre, il quadro era diametralmente opposto, ancorché inserito nella solita cornice di ambiguità che caratterizza la Fed. Una moderna banca centrale deve esplicitare in modo trasparente i suoi obiettivi. Formalmente, è un concetto che Powell sposa in pieno. Ma traspare anche una certa allergia; proprio il 3 novembre, Powell si è lamentato del fatto che l’azione della Fed «non può ridursi a un’equazione». L’affermazione è sacrosanta, ma non può giustificare l’ambiguità.
La Fed continua a ripetere che il suo obiettivo primario è la massima occupazione. Quindi sorge spontanea la domanda: ma qual è il livello corrispondente? La risposta del sorridente Powell è sempre la stessa: non è un concetto che si può ridurre a un numero. Poi aggiunge che comunque per ora l’economia americana è ancora lontana da essere in piena occupazione, quindi la politica monetaria deve rimanere espansiva. Inoltre la Fed afferma che perseguire la piena occupazione non significa necessariamente innalzare il rischio inflazione.
Qui torniamo al 3 novembre. Powell rassicurava gli americani che la forte accelerata dei prezzi al consumo doveva essere considerata «transitoria», dando anche dei tempi: il rientro era previsto a partire dal secondo, al massimo terzo, trimestre del 2022. Certo, in novembre la previsione sulla durata dell’inflazione transitoria si era modificata, allungandosi, rispetto allo scenario che la Fed aveva delineato a settembre. Quindi sulla transitorietà “si era fatto un passo indietro”. Ma questo è fisiologico: se nuovi dati disponibili modificano gli scenari macroeconomici, la banca centrale ne deve tenere conto: purché la sua azione e le sue parole seguano il criterio della trasparenza.
Anche qui, formalmente, Powell ribadiva che, in presenza di novità sul fronte dei dati, la Fed «sarà assolutamente trasparente, perché noi non vogliamo sorprendere i mercati. Noi diremo sulla base di quali ragioni stiamo facendo o non facendo qualcosa». Ma allora, come si spiega la capriola verbale di martedì scorso, inattesa sia nei tempi sia nei modi?
L’analisi economica della politica monetaria ci spiega che ci sono due modi di informare: la buona comunicazione è basata sull’”effetto Ulisse”, mentre occorre evitare l’”effetto Delfi”. Si ha l’effetto Ulisse quando l’annuncio di politica monetaria è credibile – Ulisse non si tuffa dalle sirene perché si è legato all’albero della nave – e quindi influenza le aspettative di mercati, famiglie e imprese nella direzione auspicata dalla banca centrale. Al contrario, se l’annunzio di politica monetaria è ambiguo, si provoca l’effetto Delfi – il senso dei vaticini dell’oracolo era volutamente nascosto – nel senso che gli operatori cercano di interpretare quello che è il messaggio implicito nella comunicazione della banca centrale. L’ambiguità provoca incertezza, che a sua volta innesca volatilità nei mercati, martedì scorso la capriola verbale di Powell alle 10 del mattino ha fatto innalzare in pochi minuti il rendimento sui titoli di 12 punti base, e al pomeriggio i tassi era ancora a quel livello.
Ma non sono le scommesse dei mercati, basate sull’effetto Delfi, a preoccupare. Sono i rischi di possibili effetti, stavolta permanenti e diffusi, nei comportamenti. Il cui risultato finale è aumentare la probabilità di un’inflazione transitoria che diventa permanente. Il pompiere diventa piromane.