Avvenire, 4 dicembre 2021
Se il carcere non fa il suo dovere
Rinasce la Mala del Brenta. Stessi uomini, stessi luoghi, stessi crimini, rapine, spaccio. Sempre qui, in Veneto, vicino a casa mia. Ne hanno arrestati parecchi, erano appena usciti dal carcere, ci ritornano dentro di corsa. Indagano su di loro, e pare che rapinare e spacciare sia quello che san fare, non sanno fare altro. Si fa un certo lavoro perché non si sanno fare altri lavori. Anni fa il quotidiano francese
Libération pubblicò un’inchiesta, rivolta a centinaia di scrittori di tutto il mondo, che dovevano rispondere alla domanda: « Pourquoi écrivez-vous? », perché scrivete? Domanda semplice, ma difficile. Ci fu chi rispose con pagine e pagine, dilungandosi perché la domanda lo interrogava nel profondo, e tra costoro ci fu, ahimè, anche chi scrive questo articolo: «Volete sapere perché scrivo? Eccovi qua la mia vita». Ma la risposta sincera e memorabile fu quella di uno scrittore francese, che rispose non con tante pagine, non con tante righe, ma con mezza riga, anzi un quarto di riga. Così: « Bon qu’à ça ». Buono solo a questo. Non buono a nessun altro lavoro. Non so fare altro. Torniamo a noi: perché i banditi della Mala del Brenta fanno i banditi? Perché non sanno fare altro. E perché non hanno imparato altri lavori ma solo questo? Perché questo è il più bello, il più soddisfacente, il più glorificante. Si eccitano, all’idea di preparare un colpo. Si eccitano mentre lo compiono. Si eccitano all’idea di averlo compiuto. La loro vita, di grandi banditi, è eccitante. La nostra vita, di banali lavoratori, è umiliante.
Potrei anche dire vergognosa. Che cos’è che li eccita, mentre rapinano un negozio? La paura di chi è in quel negozio, il padrone, i clienti. Io qui farei un passo avanti, perché mi pare un punto centrale per capire la psicologia dei rapinatori. I rapinatori non sono semplici ladri, che rubano in assenza dei padroni. I rapinatori rubano direttamente ai padroni, li affrontano, li minacciano, li terrorizzano, li sottopongono a un confronto di potere col quale li schiacciano. Hanno in mano non il portafoglio soltanto del rapinato, ma la sua vita. Ci sono rapinati che muoiono mentre subiscono una rapina, perché il loro cuore si ferma. Il rapinatore gode nel sentirsi padrone della vita del rapinato, col potere di fermargli il cuore. Leggo un’intervista al capo della Mala del Brenta, e gli credo quando dice: «Prima di fare la prima rapina, non vedevo l’ora». È una vocazione.
Il poliziotto che ha avuto in custodia questi banditi della Mala e li ha seguiti da vicino, dice: «Non cambieranno mai». Per loro la vita è una sola, quella che vivono loro. Non ce ne sono altre. Se li beccano e li mettono dentro, non vedono l’ora di uscire per riprendere a far rapine. Hanno il cervello bloccato. Invecchiano, ma il cervello non cresce. Non sanno che la vita ha altre fasi, altre tappe, e che alla loro età i coetanei hanno figli o addirittura nipoti. Invecchiano fuori-vita, e se invecchiano in carcere vogliono uscire per fare la vita che han sempre fatto, una pistola in tasca e irruzioni in banca, nei negozi, nelle case. Bons qu’à ça. È il carcere che dovrebbe renderli buoni a qualcos’altro. Ma non lo fa.