«Siamo nel pieno della fase più calda della pandemia. O remiamo tutti nella stessa direzione o il contagio ci sovrasterà nuovamente».
Con chi ce l’ha dei suoi colleghi?
«Con nessuno in particolare. Non sono l’arbitro della partita, sono un giocatore anch’io, e queste sono semplicemente le regole che mi sono dato nel telegiornale che dirigo».
Non con Cacciari che è ospite della Gruber?
«Per niente. Massimo Cacciari è contro il Green Pass, non contro i vaccini. È un po’ diverso».
Qualcuno poteva maliziosamente pensarlo.
«No, l’avrei scritto. Cacciari pone dei problemi di costituzionalità, i suoi sono argomenti che hanno dignità nella discussione pubblica, anche se personalmente non li condivido».
Perché nei talk anche della sua rete, La 7, i No Vax sono ospiti fissi?
«Perché secondo chi li invita dovrebbero rappresentare un diverso parere. Ma sulle modalità del loro impiego ognuno risponde della propria professionalità».
Non hanno troppo spazio rispetto alla presenza nella società?
«Magari. Perché proprio il rapporto del Censis di ieri ci fotografa una realtà della società molto meno allineata rispetto alle indicazioni della scienza. La televisione oggi è il campo della contrapposizione delle idee.
Bisogna porsi dei limiti, però».
Mi faccia almeno un esempio.
«Io quell’ex pugile triestino Tuiach non lo avrei ospitato mai».
Qual è il limite invalicabile?
«La messa a confronto. Non si può far dialogare un super esperto, che ha studiato per vent’anni, con un fenomeno da baraccone che ha letto quattro cose online. Così come non daremmo diritto di tribuna a uno che sostiene che la mafia non esiste, o a un negazionista dell’Olocausto».
Dicono: è dittatura informativa.
«Non dare spazio a un terrapiattista o a chi associa i vaccini al 5G mi sembra una semplice ovvietà. Nel 1997 con Maurizio Costanzo feci una trasmissione in prima serata in cui mettevo a confronto il metodo tradizionale di lotta al cancro con quello del professor Di Bella. Fu un successo. Ma fu anche una cosa estremamente sbagliata, che non rifarei».
Perché?
«Perché quando si parla della salute delle persone non si può ragionare come al Bar Sport con davanti la vaschetta delle noccioline».
Cosa pensa della sospensione di Mario Giordano da parte di Mediaset perché dà troppo spazio ai No Vax?
«Premesso che sono contrario ad ogni forma di censura. Non mi risulta che sia stato sospeso. Anche su questo non mi fido di quello che leggo solo sui social».
Lei è per l’obbligo vaccinale?
«Sì, lo ripeto dal settembre di un anno fa. Sono della generazione che ha conosciuto le malattie gravi. Sa quanti italiani, secondo quella stessa ricerca del Censis, ritengono che il vaccino sia un farmaco sperimentale e che gli italiani stiano facendo da cavie? Indichi una percentuale».
Venti per cento?
«Il 31,4. E il 4,2 per cento dei laureati sostiene che non esiste il Covid. Beninteso i creduloni ci sono sempre stati, quando ero ragazzo su certe riviste popolari potevi trovare le inserzioni del mago di Tobruk che prometteva guarigioni miracolose».
Oggi invece?
«C’è l’algoritmo. Sui social ognuno può esprimere la qualsiasi e c’è chi poi si incarica di aggregare anche le posizioni indicibili per spirito di contrapposizione o per avvelenare i pozzi».
Cosa può fare il giornalismo?
«Raccontare nella maniera più intelligente possibile i fatti, senza perdere di vista il principio di realtà. Un quotidiano di destra come Il Tempo ha spiegato ieri in prima pagina che grazie ai vaccini stiamo messi cinque volte meglio di un anno fa. È un fatto».
Qual è la sua bussola morale?
«Ho sempre presente le immagini di Bergamo dell’inizio. Ridiamo di quel tizio col braccio in silicone che voleva ottenere così il Green Pass. Ma senza il vaccino rischia di ammalarsi o di infettare gli altri. Sono convinti che ci sia un disegno mondiale della pandemia. Non credono al disegno di Dio, ma a quello di Soros e di Gates».