Linkiesta, 3 dicembre 2021
Quando i cancelletti decisero di occuparsi dei lavoratori
E venne il giorno in cui la militanza dell’Instagram, dopo aver difeso indignata un po’ qualsiasi diritto immaginario, qualunque diritto da quello del fratino di riprodursi sulle spiagge dove si tengono concerti a quello mio di non essere fischiata dal muratore all’angolo, venne il giorno in cui la militanza cancellettista decise di dedicarsi a una questione reale e razionale: i diritti dei lavoratori.
Solo che, avendo la militanza cuoricinista fatto molte assenze a scuola, non era presente il giorno in cui la maestra disse «Bambini, oggi vi svelo una cosa: Superman non vola davvero»; e quindi ha scambiato (essa militanza, no la povera maestra) un attore per un formaggiaio.
È andata così: che il Parmigiano Reggiano ha fatto un fiabesco spot in cui l’attore Stefano Fresi interpreta un tizio che porta dei turisti in visita agli stabilimenti del Parmigiano Reggiano, ove essi incontrano una figura che, neanche fosse il nonno di Heidi, dedica tutta la propria vita a fare il formaggio. Il personaggio reggiano, che gli ottusi benintenzionati scambiano per vero, si chiama Renatino.
È andata che Renatino dice di lavorare lì 365 giorni l’anno, 24 ore al giorno, e di non aver quindi mai visto Parigi o il mare. È sicuramente verosimile: l’unico italiano lavoratore dipendente senza le ferie pagate l’hanno trovato per lo spot del Parmigiano. L’unico che ha un giorno libero ogni quattro anni, il 29 febbraio.
Poiché, nel secondo paese più sindacalizzato del mondo (che non è primo solo perché esiste la Francia), nel paese in cui per parlare dei lavoratori dipendenti occorrono solo due parole, quella dicibile è «mansionario» e quella indicibile è «Prissy», in questo paese qui i militanti della scemenza social sono convinti che esista gente che lavora al giogo senza diritti, e questa gente non sia composta da lavoratori stranieri che raccolgono pomodori (mentre noi c’inginocchiamo per come vengono maltrattati i neri americani); sono convinti che l’insieme degli sfruttati, in Italia, coincida con quello dei lavoratori dipendenti di grandi aziende che lo sfruttamento lo pubblicizzano in tv.
Con difensori così fessi, non si possono che fare progressi.
L’internet – che, non so se l’ho già detto, è scema – dello spot prende sul serio tutto. Non solo Renatino, ma pure gli attori i cui personaggi non hanno dignità di nome, i pretesti per far tessere a Fresi e Renatino le lodi del formaggio. Li definiscono, giuro, «hipsteroni che sbeffeggiano i lavoratori», «amici di Imen Jane», ma soprattutto «ricchi sbalorditi dal fascino esotico dei poveri». Perché i plutocrati, si sa, quando non prendono l’aereo personale e vanno a farsi un giro nella loro isola privata ai Caraibi, partecipano a tour guidati di aziende casearie.
Tanto l’internet prende sul serio tutto che il primo a ritenere di doversi difendere (sbagliando) è Stefano Fresi, che pubblica un video su Instagram. La seconda metà è patetica (e infatti è quella che viene ripresa dai giornali): Fresi rivendica la dignità professionale del fare pubblicità, scomodando Clooney e Charlize Theron. Ma la prima parte fa abbastanza ridere.
Consapevole di parlare a degli scemi, Fresi spiega che «è un’opera di finzione, Renatino non si chiama Renatino nella vita», spiega che quella è una pubblicità, e quindi il suo compito è veicolare «un prodotto talmente bello che uno rinuncia alle vacanze, a tutto, pur di produrlo». Fa anche degli esempi: «Esattamente com’è finzione il vecchio che sta col bambino davanti alla valle co’ tutto l’orto sotto e poi so’ surgelati, oppure il capitano con la pipa sulla nave che frigge il merluzzo». Esasperato, scandisce: «Non è un documentario in cui si fa vedere che i lavoratori del Parmigiano Reggiano stanno così».
Ma non può andar bene, ed è la ragione per cui non bisogna mai spiegare, mai scusarsi, mai concedere un millimetro di terreno agli invasati. A sera il Parmigiano (inteso come forma di formaggio: se pensate che il comunicato l’abbia dettato mentre veniva grattugiato, tutto si spiega) è costretto a imbarazzanti scuse: iniziano dicendo che «il dibattito accesosi in rete» loro lo raccolgono «con grande rispetto» (e già sembra: i tuoi piedi sulla nostra testa, e non devi neanche stare fermo); e quindi, giacché «tutto il dibattito che ha alimentato i topics della rete» (plurale a cazzo come nell’originale), e «i contenuti espressi dalla grandissima comunità che in essa si esprime» (i cancelletti degli sfaccendati, intende), e «il nostro prodotto è inclusivo» (lo grattugiano anche i colorati e gli invertiti), date queste premesse, si arriva al cruccio. L’avete già indovinato, no? «Sempre maggiore sensibilità nei confronti di coloro che lo consumano nel mondo».
Qualcuno, all’ufficio marketing del Parmigiano Reggiano, deve aver pensato che se gli americani venivano a sapere che erano considerati cattivi dai social, l’export crollava.
Nessuno, però, s’è fermato a riflettere sul fatto che mica Renatino ha toccato il culo a qualcuna: i diritti dei lavoratori, nel paese da cui abbiamo deciso di farci fare da guida morale, non esistono. Che impressione vuoi che faccia Renatino che non ha le ferie pagate, agli americani che a chi lavora non pagano (se non per scelta generosa delle singole aziende, ma non per imposizione di legge) neppure il congedo di maternità?
Non ci pensa nessuno, che questo possa non essere uno scandale du jour che fa presa sugli americani. Neppure Christian Raimo, che decide di usare quest’occasione per fare il primo esplicito tentativo di cancel culture fatta bene. Consapevole che nell’Europa che ne ha viste abbastanza gli rideranno in faccia, nel suo pezzo su Domani vibra: «Che ne direbbe il New York Times di una campagna del genere?».
Intanto, su Instagram, gli autonominati custodi della morale con qualche decina di migliaia di follower a cuoricinare le loro indignazioni pubblicano, lo giuro, un comunicato stampa in cui chiedono alla Rai di non mandare in onda lo spot (forse ieri c’era il Tavernello in offerta). Ricopio stralci.
«Gravemente lesiva nella sua sceneggiatura della dignità di tutti i lavoratori e le lavoratrici italiane» (italiane solo le lavoratrici; i lavoratori, invece, di tutto il mondo: unitevi). «La Rai è una società per azioni partecipata al 99,56 dal Mef e pertanto non può e non deve assecondare una rappresentazione cinematografica del lavoro come impegno totalizzante che priva chi lo svolge del tempo, della vita, delle ferie, della possibilità persino di vedere il mare» (chissà se hanno mai capito che alla fine dei film con gli spari gli attori si rialzano e quello era ketchup). E infine, la mia parte preferita: «Un regime pressoché schiavista in cui non c’è spazio per ferie o malattie, o quantomeno in cui chi non si avvale di questi diritti otterrà la stima dei consociati, in un gioco pericoloso di premialità sociale che di fatto ridicolizza chi non ha la possibilità economica di andare in vacanza» (cioè ora Renatino in vacanza non ci va non per dedizione ma perché lo pagano poco?).
E insomma Prissy. Nel paese (questo) in cui gli autisti d’autobus sono protetti dai sindacati dal pericolo di dover controllare i biglietti, giacché non è nel loro mansionario, e i veri Renatino se non è nel mansionario non accendono neanche la luce, in questo paese qui la militanza virtuale pensa che siamo nell’America di due secoli fa: dentro Via col vento. Nel quale il personaggio più memorabile è Prissy, la bambina schiava che non ha voglia di fare un cazzo e quindi un cazzo fa, consapevole che i suoi padroni bianchi sono più mollaccioni della Cgil (Via col vento è quindi considerato propaganda schiavista, giacché Fresi non ha mai spiegato agli intellettuali americani che non è un documentario).
La gente normale, quella che di giorno evita il lavoro come tutti gli altri ma facendo La Settimana Enigmistica invece dei cancelletti, quando vede Renatino non ci crede. Perché sa che l’italiano medio è Prissy. Che civetta e canta e cammina lenta come chi ha tutta la giornata davanti, mentre Melania ha le doglie, Rossella non sa come fare ma lei, beh, non è mica nel suo mansionario aiutarle. (Questo è il paragrafo che la militanza dell’internet può usare per dire: Soncini è a favore dello schiavismo, d’altra parte viene dalla terra del Parmigiano Reggiano, gli yankee d’Italia).