la Repubblica, 3 dicembre 2021
Lo Stakanov del parmigiano
La pubblicità ha veicolato, lungo i decenni, immagini melense, spropositate iperboli e soprattutto una smisurata quantità di balle. È il regno dell’eufemismo, nel quale tutto è perfetto, lindo, smagliante, erotico, vittorioso, funzionale, eccetera. È la voce dei prodotti: e i prodotti, nel nostro mondo, sono la vera classe dominante. “Parlate male di Andreotti e non vi succederà niente. Attaccate Coccolino e finirete nei guai”, diceva il Grillo pre-grillismo.
Ma l’antico carisma dev’essere in declino (la crisi dell’autorità ha travolto anche Coccolino?) se una campagna del parmigiano è oggetto di furibondi attacchi in rete (esistono in rete, attacchi non furibondi?) perché un casaro immaginario, tale Renatino, dice di lavorare 365 giorni all’anno e di essere felice. Non sono un esperto di spot, mi passano attraverso senza lasciare traccia, ma non avrei mai pensato che Renatino potesse menare scandalo in quanto simbolo di sfruttamento, alienazione, schiavismo. Nello spot risulta una specie di Stakanov dei fermenti lattici, un po’ fesso ma devoto alla causa. Essendo la pubblicità iperbolica è anch’egli un’iperbole: nessun salariato lavora 365 giorni all’anno, la coincidenza perfetta tra vita e lavoro è un privilegio che spetta solo a pochi fortunati, in genere liberi professionisti padroni del loro tempo e di sé stessi. Ma con tutta l’arroganza e il classismo che la pubblicità ci rovescia addosso da una vita, e la lussuosa nullafacenza di ficone e ficoni in ville e castelli e deserti come massima ambizione, perché proprio il casaro stakanovista deve sentirsi pietra dello scandalo? Il lavoro, quando non abbrutisca e non mortifichi, salva la vita, la affina e la valorizza. Il Faussone della Chiave a stella è un operaio, mica un manager. Il lavoro è abbastanza fuori moda – in tutti i sensi – da meritarsi un poco di pubblicità.