Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  dicembre 03 Venerdì calendario

Corsa al cobalto del Congo


NEW YORK – Nel giugno 2014 un uomo cominciò a scavare, affannosamente, sulla terra rossa che occupava il retro della sua casa, alla periferia di Kolwezi, città di mezzo milione di abitanti nel sud della Repubblica democratica del Congo. Ai vicini raccontò che voleva creare una nuova toilet, ma la sua attività cominciò a insospettire. Dopo una settimana la buca aveva superato i tre metri. Un giorno erano spuntati pezzi di metallo argenteo con gradazioni blu e turchese: cobalto. L’uomo era certo di aver trovato una vena di cobalto, il nuovo oro dell’era tech, l’elemento richiesto in tutto il mondo per auto elettriche, cellulari e laptop. L’uomo di Kolwezi era convinto che la sua vita sarebbe cambiata. Aveva scavato gallerie ovunque, tirando su una piccola fortuna, diecimila dollari. Ma poi la sua “vena” mineraria si era esaurita. Non per il Congo – il più grande produttore di cobalto al mondo – dove la Cina sta strappando agli Usa il controllo sulle miniere. La China Molybdenum ha rilevato dal gigante americano minerario Freeport- McMoRan il sito di Kisanfu. A giugno, sei mesi dopo la vendita, l’amministrazione Biden ha avvertito la Cina di non ostacolare le aziende americane.
C’è anche altro in gioco. Il New York Times, con un’inchiesta, sta raccontando il lato oscuro della corsa alla transizione green del pianeta.
In Congo centinaia di migliaia di persone scavano ogni giorno nelle miniere, persone muoiono per le cattive condizioni di lavoro, decine di bambini nascono con malformazioni. E solo un congolese sembra arricchirsi: Albert Yuma Mulimbi, presidente dell’impresa mineraria statale Gécamines, che lavora con compagnie internazionali. Yuma è accusato di aver sottratto allo Stato ricavi per quasi 8,8 miliardi di dollari, e di aver messo in piedi un sistema di corruzione per arricchire se stesso, i familiari e gli amici del cerchio magico. Il cobalto è chiamato “diamante insanguinato” o “diamante di sangue delle batterie” per il costo di vite umane. Il dipartimento di Stato americano ha presentato una denuncia nei confronti di Yuma, ma l’uomo sembra ben saldo, anche perché questo metallo è la risorsa che rende centrale il Congo. Soltanto nella zona sud, secondo cifre citate di recente dal New Yorker, ci sarebbero 3,4 milioni di tonnellate di cobalto, pari a quasi metà del fabbisogno mondiale. Centinaia di migliaia di persone si sono mosse verso le zone remote del Paese. Molti lavorano nelle miniere come dipendenti, altri come ‘scavatori artigianali’, senza esperienza, vestiti di infradito e magliette logore, privi di elmetto protettivo. Gli incidenti mortali sono frequenti. Scavatori precipitano per metri dentro i cunicoli rompendosi l’osso del collo. Il resto lo fa l’esposizione al cobalto, estratto a mani nude e stipato in sacchi di nylon. I lavoratori sono persone di tutte le età, tra cui molti bambini, mandati in miniera dai genitori per guadagnare meno di dieci dollari al giorno, ma sufficienti a tirare avanti. Secondo uno studio pubblicato da The Lancet, le donne nel sud del Congo presentavano una concentrazione di metallo mai vista in donne in gravidanza. Lo studio aveva riscontrato anche un forte legame tra il lavoro dei padri, minatori, e le malformazioni dei figli. Nel frattempo il prezzo del cobalto è cresciuto del quaranta per cento, a più di quaranta dollari al chilo. Ovunque si cerca il “diamante di sangue”. La vita dei villaggi viene sconvolta appena qualcuno comincia a scavare per terra. Ma mentre il Paese resta povero, Yuma si fa servire calici di Dom Pérignon. E non accetta insinuazioni. «A vent’anni – racconta al Times – quando stavo in Belgio già guidavo la mia prima Bmw, di cosa stiamo parlando?». È un uomo ricco e potente: nel 2018 Yuma venne accolto a Washington da alti esponenti della Banca Mondiale, dei ministeri della Difesa, Energia e Interni. A New York incontrò alla Trump Tower uno dei figli dell’allora presidente Donald Trump, Donald Jr. Nonostante le conoscenze, due mesi dopo gli venne vietato di rientrare negli Stati Uniti. Da allora sono aumentate le accuse, ma anche l’interesse di investitori americani, che hanno chiesto il rispetto dei diritti umani e di chiarire le voci sulla corruzione. Yuma ha promesso che presto i lavoratori verranno dotati di elmetti e stivali, e pagati attraverso un sistema elettronico per evitare frodi. Sul fronte della corruzione, dovranno fidarsi delle sue parole. E questo, in nome del mercato, potrebbe bastare.