il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2021
Intervista a Giorgio Colangeli, che recita la Divina Commedia a memoria
Giorgio Colangeli è una delle belle anomalie del teatro e del cinema: è diventato tardi un nome da cartellone, solo nel 2006, ma da allora ha vinto premi, ottenuto riconoscimenti e ha continue chiamate da registi di punta ed esordienti; da allora naviga nel mare dei riflettori con un atteggiamento misto tra orgogliosa consapevolezza e piacevole stupore.
Di Dante cosa le piace maggiormente?
L’Inferno perché è quello che si conosce di più; al suo pari giusto la Preghiera della Vergine (Paradiso); nello spettacolo non aggiungo una parola, così diventa una full immersion nell’italiano del Trecento, tanto da rendere famigliari certi termini.
Dopo si sbaglia nel linguaggio corrente?
Da qualche tempo mi risulta difficile pronunciare “senza” perché in altri contesti mi viene più facile “sanza”, magari quando sono su un set.
Il pubblico anticipa mai le strofe?
È successo nei primi canti del Purgatorio, nei versi di Pia de’ Tolomei, per me una sorpresa. Ed è stato come a un concerto.
Si è scocciato?
No, anzi; è accaduto pure con il Conte Ugolino “fatti non foste”; (pausa) alcune frasi sono entrate nel linguaggio comune, un po’ come i proverbi.
Utilizza il gobbo?
No, vado nudo, anche perché sono un attore che, per formazione, non è in grado di utilizzare bene il suggerimento.
Rischierebbe l’effetto inverso.
Sì, e purtroppo; un tempo il suggeritore era una necessità: prima la compagnia possedeva in sé una specie di repertorio, aveva diversi testi, e quando si arrivava in una grande città magari alternava i testi. Così il gobbo era obbligatorio.
Mentre per lei.
Per formazione devo avere tutto in testa e se qualcuno interviene perdo il filo; però in un’impresa di questo tipo dovevo comunque risolvere il problema, perché può capitare il vuoto su una parolina.
Soluzione?
Abbiamo teatralizzato il suggerimento con Marco Maltauro: oltre ad avermi aiutato nella costruzione dello spettacolo, è in cabina di regia e quando arriva il vuoto ripeto l’ultima frase, alzo il dito al cielo e lui al microfono, con un po’ di riverbero, completa la strofa.
In carriera ha mai vissuto dei vuoti seri?
Due e talmente grossi da lasciarmi il panico; una volta, in scena con Piera Degli Esposti ho vissuto un vuoto psichiatrico: ero solo davanti al pubblico e non mi ricordavo nemmeno perché stavo lì; ho solo sentito Piera, dietro le quinte, rammaricarsi: “Povero Giorgio”.
E lei?
Piano piano è riemerso il perché stavo lì e il senso di ciò che dovevo recitare; me la sono cavata.
Finito lo spettacolo?
Resta il senso di insicurezza e dura qualche giorno; è andata peggio un’altra volta: inizio la prova tecnica della memoria e pure lì niente. Neanche una battuta. Mentre pensavo a come comunicare al pubblico il problema, incontro per caso un commilitone, una persona che non vedevo da quarant’anni, e questo strano input mi ha forse smosso qualcosa; poi arrivano gli altri attori, in particolare Francesco Montanari, ed è stato di una generosità rara.
Cioè?
Con lui insistevo: “Non posso andare in scena”. “Non ti preoccupare, mi piacciono queste situazioni”. Durante lo spettacolo è riemerso tutto.
Dopo la pausa per la pandemia, come è stato il ritorno sul palco?
Meraviglioso, emozionante. Ed è la mia prima vera volta all’Argentina. Mi dispiace solo perché c’è meno pubblico di prima, solo tanti colleghi…
Non è contento dei colleghi?
Certo, ovvio. Ma oggi vado io da te, domani vieni tu da me e diventa un circuito chiuso, mentre il teatro deve mantenere un respiro più ampio.
Farà mai il regista?
Non è per me.
Ha recitato per alcuni big della macchina da presa…
Lo sa che mi mettono un po’ soggezione? Sono entrato in questo mondo gradualmente, partendo da un hobby, quindi mi è rimasto il complesso del bastardo.
Impietoso.
Sono nel costante timore che anche uno studente dell’Accademia possa dirmi “non si fa così”; temo di conoscere solo le eccezioni, non le regole.
Come la trattano sul set?
Bene, mi chiamano maestro, e ogni volta mi viene da girarmi convinto che stiano parlando con un tizio alle mie spalle; so di valere, ma i maestri veri sono altri.
Chi è lei?
Un attore. Sono molto un attore ed è un mestiere che non puoi svolgere a orario, ma risponde a un’esigenza che negli anni ho imparato a riconoscere: molti aspetti del mio lavoro sono parte del carattere.