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 2021  dicembre 02 Giovedì calendario

Periscopio

Salvini e Meloni sono sovranisti anti Europa mentre Letta e Conte hanno fatto un matrimonio populista. Matteo Renzi, alla Leopolda.

Il partito dell’innocenza, l’M5s, uscirà dal campo senza più le medaglie della trasparenza e della parsimonia in politica. Perché sarà anche vero che uno vale uno, ma è meglio che sia un altro a valere uno. Raffaele Marmo. QN.

La Francia è il paese delle rivoluzioni tranchant e del laicismo spinto, che ha portato il paese alla degenerazione delle banlieues e alla perdita identitaria, provocatoriamente descritta da Michel Houellebecq in Soumission. L’Italia no; l’Italia tendenzialmente non ghettizza, ma assimila lentamente i migranti con lo ius sanguinis; la gente della penisola non fa rivoluzioni, perché il compromesso in Italia è il sale della politica. Luigi Chiarello. ItaliaOggi.

Perché mai la Rai dovrebbe essere interessata a cambiare le regole del gioco, a rifiutare il ruolo di quotidiana fornitrice di ossigeno ai partiti? Senza dire che il commercio ha le sue esigenze: per alzare l’audience e «andare in pubblicità» piuttosto che un approfondito dibattito niente di meglio che un furioso battibecco tra due scervellati o poche e generiche domande e risposte da interrompere senza problemi. Ernesto Galli della Loggia. Corriere della Sera.

Ora, alla vigilia delle elezioni del presidente della Repubblica, queste sparse forze (tranne Berlusconi e Renzi) non hanno alcuna possibilità di recitare una parte in commedia, a meno che, mettendosi insieme, in un progetto politico di medio respiro, non diventino una forza coesa e spendibile. Domenico Cacopardo. ItaliaOggi.

Il provvedimento generale sul Super Green pass non è una carezza. È anzi una fortissima limitazione della libertà personale. Psicologicamente più forte del lockdown: perché allora eravamo costretti a restare chiusi in casa tutti alla pari (salvo che per alcuni, limitati lavori). Adesso i vaccinati e i guariti dal Covid potranno fare una vita normale, gli altri saranno esclusi da tutte le attività sociali. Ma siamo al punto di svolta di una guerra di cui finalmente s’intravede la fine e certe strette sono purtroppo necessarie. So che ad alcuni la parola «guerra» non piace. Ma se la Seconda guerra mondiale ha interessato 61 Paesi, il Covid ha seminato contagi e morte nei cinque continenti. In Italia le vittime civili dell’ultimo conflitto sono state 153mila, il Covid ne ha fatte finora solo ventimila in meno. L’economia e una larga fetta della società italiana sono state messe in ginocchio. E l’eccezionalità della situazione è dimostrata dal fatto che l’arcigna Europa ha aperto i forzieri e ha messo a disposizione dell’Italia più soldi del mitico Piano Marshall del dopoguerra. Dunque, non possiamo rischiare. Bruno Vespa, QN.

L’industria culturale del nostro Paese (la tv pubblica, il cinema, le fiction) non si rivolge a sessanta milioni di italiani, ma a tre milioni di romani. Non soltanto è romano il 90 per cento degli attori; pensa romanesco e scrive in romanesco il 90 per cento di coloro che pensano e scrivono la tv, il cinema, la fiction. Molti di loro sono bravissimi: talenti autentici, grandi professionisti. Poi ci sono ovviamente i mestieranti. Ma sempre romani sono, e sempre romanesco parlano. Aldo Cazzullo. Corriere della Sera.

Con il suo plotone il caporale Schumann ha avuto il compito di sorvegliare l’angolo tra Ruppiner Straße e Bernauer Straße: a Nord di questa lunga strada c’è la Germania Ovest, a Sud c’è quella dell’Est. A dividerle in quel punto solo poche volute aggrovigliate di filo spinato, un roveto metallico rado, alto 70 centimetri o poco più. Ma non durerà ancora per molto: più a Est lungo il confine tra le due Berlino i genieri della Nationale Volksarmee, l’Armata popolare nazionale, l’esercito della Ddr, hanno cominciato (protetti dai carri armati sovietici) a piantare i pali per un reticolato molto più alto, di tre metri. E presto verranno lastroni di calcestruzzo a chiudere per sempre l’orizzonte ai berlinesi. A quel punto chi sarà dentro sarà dentro, chi sarà fuori sarà fuori. Maurizio Pilotti, Libertà.

Gino Girolomoni passava tutte le Pasque ad Har Karkom, il monte Sinai dove Mosè ricevette da Dio le tavole della Legge. Si faceva chiamare Alce nero, come lo sciamano degli Oglala, la tribù dei Lakota-Sioux guidata da Cavallo pazzo. A Isola del Piano, sulle colline di Urbino, aveva restaurato il monastero di Montebello, edificato nel 1380 dai Poveri eremiti di San Girolamo, un cumulo di macerie con intorno 60 ettari infestati da sterpaglie. Zolla dopo zolla, l’aveva trasformato nel suo acconto di Terra promessa. Abitava nel convento con la moglie Tullia e i tre figli. Ospitava scolaresche, viandanti, scrittori. Guido Ceronetti ci soggiornava spesso. Vittorio Messori ci aveva vissuto per un anno. Il biblista Sergio Quinzio vi si rifugiò per tre lustri dopo che gli era morta la sposa Stefania, appena trentenne. Aveva la barba, e anche la stoffa, del patriarca. Da mezzo secolo era tutto in abbandono, nella Valle del Metauro, e lui ne aveva fatto un eden: coltivazioni biologiche a perdita d’occhio, cooperative agricole, un pastificio che mantiene 40 famiglie, un agriturismo, un laboratorio officinale che prepara tinture madri secondo le ricette di Ippocrate e Paracelso. L’etichetta Alce nero è tuttora presente ovunque, dall’Esselunga agli store americani. Nello studio teneva appesa una foto del capo spirituale indiano. Era ritratto nel 1903 al Caffè Greco di Roma accanto a Buffalo Bill, che lo trascinava in giro per l’Europa come un’attrazione da circo. L’anno dopo si sarebbe convertito al cattolicesimo. Stefano Lorenzetto. L’Arena.

Anche nel calcio una rivoluzione epocale è cominciata. Ce ne accorgeremo fra qualche anno, perché per adesso i ventenni le guardano ancora, le partite. Ma già i quattordicenni non ce la fanno: sono troppi novanta minuti più recupero. E poi il calcio è gol, belle azioni, tiri in porta: ma in mezzo anche tanta noia. Così almeno ragionano le nuove generazioni, che delle partite non guardano più le dirette, ma solo gli highlights. Michele Brambilla. QN.

Diego Armando Maradona, il Pibe di 60 anni, quando dodici mesi fa ha chiuso gli occhi, aveva perso già da tempo l’aria infantile. Bruciato dall’incapacità di vivere. Salvo, poi, quell’ultimo colpo di tacco (e di genio), con quel desiderio profondo, espresso all’infermiere poco prima di morire, «...vorrei prendermi una vacanza dall’essere Maradona». Un numero uno. Anzi, il Dieci. Per sempre. Tommaso Strombi. QN.

L’abitudine è la disciplina che si è seduta. Roberto Gervaso, scrittore.