il Giornale, 2 dicembre 2021
Spielberg si dà al musical
«Parla più di oggi che di ieri». È lapidario e preciso Steven Spielberg nello spiegare, anche nelle note di regia, perché ha voluto rigirare West Side Story, il suo primo straordinario musical in una carriera piena zeppa di capolavori: «Il razzismo, la xenofobia, l’eredità del colonialismo, gli effetti della povertà e tutti i mali che avevano dato vita alla creazione del musical esistono ancora. E, pur essendo una tragedia, come tutte le grandi tragedie, tra cui Romeo e Giulietta, suggerisce che la speranza può nascere in mezzo alla devastazione e alla disperazione: le canzoni di Bernstein e Sondheim ci mostrano che l’amore può trascendere tutto il dolore e la bruttezza del mondo. Quindi non arrendetevi mai!».
Benvenuti nuovamente, alla fine degli anni ’50, nel West Side di New York conteso da due bande di giovani rivali: i Jets, caucasici capeggiati da Riff, e gli Sharks, portoricani guidati da Bernardo. Nel mezzo c’è Tony, amico fraterno di Riff, che sta tentando di ricostruirsi una vita e si innamora di Maria, sorella di Bernardo. Sullo sfondo di un quartiere letteralmente in distruzione per essere ricostruito e poter così cancellare la parola bassifondi dalla topografia, si muovono le due gang pronte allo scontro finale, da tragedia greca.
La prima trasposizione sul grande schermo di West Side Story è del 1961 e alla regia vedeva Robert Wise insieme a Jerome Robbins che era già stato regista e coreografo dello spettacolo teatrale a Broadway prima dell’incredibile successo cinematografico grazie anche ai dieci Oscar vinti. Si è trattato dell’ultimo grande musical del cinema classico hollywoodiano, una sorta di straziante canto del cigno in cui, per la prima volta in questo genere, vengono inseriti inediti elementi di violenza. Il paroliere era Stephen Sondheim che, scherzi del destino, è morto a 91 anni venerdì scorso e ha lavorato a stretto contatto con Steven Spielberg: «L’ho incontrato per la prima volta durante la prima dell’adattamento cinematografico del suo Sweeney Todd con Johnny Depp. Era molto coinvolto nel film ed è stato accanto a me nello studio di registrazione», ha detto il regista, collegato in videoconferenza, che ha aggiunto di non essersi divertito così tanto a girare «dai tempi di E.T. l’extraterrestre!».
Ma non è questo l’unico grande tributo che Spielberg si è sentito di dare al musical che «ha segnato la mia vita da spettatore». Infatti nella sceneggiatura, scritta da Tony Kushner che si prende alcune libertà rispetto all’originale (non c’è ad esempio più alcun accenno ai genitori di questi ragazzi), appare un nuovo personaggio, quello dell’anziana Valentina interpretata da Rita Moreno che, nel primo film, era Anita, l’amica della protagonista Maria e fidanzata del fratello Bernardo. «Non è stato facile. Avrei voluto essere di nuovo così giovane ma sono contentissima del lavoro fatto», ha detto scherzosamente l’attrice ottantanovenne, premio Oscar proprio per West Side Story. Rita Moreno peraltro era allora l’unica interprete di origini portoricane, mentre oggi Spielberg ha voluto per quei ruoli tutti attori di origini sudamericane. A partire da Rachel Zegler, madre colombiana, oggi ventenne ma ancora studentessa quando il regista l’ha scelta tra migliaia per la parte dell’innamorata Maria, uno dei ruoli più iconici e tragici della storia dei musical originariamente interpretato da Natalie Wood: «Sapevo che il confronto sarebbe stato inevitabile. Ma ho preso tutto come una sfida che, in quanto tale, è sempre qualcosa di difficile altrimenti non mi avrebbe interessato», ha detto l’attrice esordiente ma già lanciatissima, sarà infatti Cenerentola nel nuovo film Disney previsto nel 2023. Come anche l’attore Ansel Elgort, che interpreta il suo amato Tony, nessuno dei due ha rivisto il primo West Side Story per non fare troppi confronti e per evitare inutili pressioni.
Più difficile per Spielberg dimenticare il film originale con il fenomenale formato SuperPanavision a 70 mm tanto che, come hanno fatto nel recente passato colleghi come Tarantino, Scorsese e Nolan, ha addirittura girato in pellicola Kodak 35 mm dando così una tessitura speciale alle immagini che, già dalla prima sequenza, sono paradigmatiche dei suoi intenti narrativi, con i Jets che vogliono cancellare con la vernice un’immensa bandiera portoricana costruita su un muro. Da lì il primo scontro sedato dalla polizia con i due poliziotti, protagonisti di tutto il film, l’agente Schrank (Corey Stoll) e il Sergente Krupke (Brian d’Arcy James). Già da questa scena iniziale, l’intreccio tra i balli (le nuove coreografie sono di Justine Peck), la musica, le canzoni e i numeri di lotta risulta essere molto più stretto dell’originale. Merito sicuramente delle attrezzature di ripresa, oggi molto più leggere, che hanno permesso a Spielberg e al suo fidato direttore della fotografia, Janusz Kaminski, di muoversi all’unisono con gli attori rendendo molto più fluidi, adrenalinici e realistici, quindi meno teatrali, anche per via di un montaggio serrato, i leggendari numeri musicali.
Ha sorpreso poi tanti spettatori dell’anteprima statunitense, mentre da noi il film uscirà per Natale, il 23 dicembre, la scelta di lasciare senza sottotitoli numerose parti parlate in spagnolo: «L’ho fatto sia per rispetto della comunità latina che per sottolineare un contesto in cui si parlano tutt’e due le lingue. Mi piaceva poi l’idea che, durante la proiezione, si potessero sentire le risa del gruppo di spettatori che, parlando lo spagnolo, capiscono certe cose», ha detto Spielberg che, nel finale, dedica il film al padre, morto nel 2020, prima dei bellissimi titoli di coda, da lui realizzati insieme allo scenografo Adam Stockhausen, all’altezza di quelli originali e straordinari del leggendario Saul Bass.