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 2021  dicembre 02 Giovedì calendario

Intervista a Paolo Camossi


ROMA – È il golden coach. Paolo Camossi, 47 anni, occhi azzurri, chioma castana, ex triplista, finalista con poca fortuna a Sydney 2000, ma capace l’anno dopo di battere Sua Maestà Jonathan Edwards ai Mondali indoor di Lisbona. Anche lui, come il suo discepolo Marcell Jacobs, è appassionato di tatuaggi. «Ho un faro, che è la luce che guida nelle intemperie, una rosa dei venti con una barca su cui c’è bello e cattivo tempo con la scritta ‘no pierdas’ e sul braccio sinistro una coppia che si bacia. Ora farò i Cinque Cerchi».
Buttiamo lì un tempo per il 2022?
«Sì. 9”62-9”63. Quando avremo due metri di vento regolare a favore.
Marcell in 4 anni e mezzo ha ristabilito un suo schema motorio.
Viene dal salto in lungo, era abituato a un altro tipo di corsa ritmica e a sei tentativi, mentre nei 100 se sbagli una sola cosa sei fuori. Non siamo sazi né vogliamo smettere di andare veloci. Sa cosa ci siamo detti subito dopo la finale a Tokyo? Ci siamo urlati: porca miseria era 9”79. In un primo momento sul tabellone era uscito quel tempo. Eravamo arrabbiati per quel centesimo perso.
Non ci accontentiamo».
L’anno prossimo farete Mondiali indoor e outdoor.
«La mia filosofia è che ti alleni per gareggiare. Ora partiamo per gli allenamenti a Tenerife, a febbraio saremo agli assoluti indoor ad Ancona, a marzo ai Mondiali indoor di Belgrado, a giugno al Golden Gala a Roma, a luglio ai Mondiali di Eugene, ad agosto agli Europei di Monaco. In mezzo i meeting e un paio di 200 metri per imparare a gestire la curva, senza che il rettilineo diventi un’arrampicata in montagna. I 200 lo obbligheranno a essere più economico nella corsa e io ho qualcosa di nuovo e di diverso con cui farlo divertire».
Dove è migliorabile?
«Abbiamo notato un problema alla gamba destra, che non va veloce come la sinistra, non si può dire che freni, ma sicuramente va al traino, non è al servizio del movimento.
L’estrazione di un dente del giudizio ha migliorato la postura. In più gli abbiamo cambiato la partenza che creava dei buchi nella sua azione. Il suo piede resta a terra pochissimo, 0.79. Marcell sulla pista scivola, ha gambe lunghissime, un’ampiezza naturale, tipo Bolt, è capace di correre decontratto, questa è la vera differenza, soprattutto nell’ultima parte di gara».
A chi si è ispirato nel suo percorso da tecnico?
«Ho allenato una decina di atleti di vertice, ma Jacobs è il mio primo campione olimpico. Negli ultimi due anni ho mandato all’aria tutti i grandi dogmi dell’atletica italiana. Il mondo è cambiato, la tradizione va interpretata, non ripetuta. Così ho passato le notti a studiare i video di centinaia di sprinter: Bolt, Gatlin, Powell, Greene, Bailey, Lewis. Ho seguito anche le donne, Thompson Perec, Arron, perché corrono meglio, anche se con meno forza. Facciamo poca palestra, anche se Marcell a volte si mette a fare il gradasso, io cerco di non annoiare troppo l’atleta, e di non gravarlo di esercizi».
È un easy coach.
«Ho riflettuto sulla mia esperienza. Io mi allenavo troppo, mi massacravo.
Ero fermo sulla tangenziale di Roma sul mio Suv, andatura da lumaca, accanto a me una Ferrari che sbuffava e soffriva. Lì ho capito che ci sono corpi costruiti per andare veloci, inutile stressarli con altri tipi di andature».
Mancini ha vinto un Europeo di calcio, è testimonial di molte aziende. Jacobs, doppio oro olimpico, non è da nessuna parte.
«Ci sono stati problemi e forse anche confusione sulla gestione dei diritti d’immagine. Oggi Jacobs ha una società, la X-Hybrid che lo rappresenta, mentre Marcello Magnani si occupa della pista e dei meeting. Parigi è tra tre anni, Marcell ora non è più tra quelli che rincorre, ma è l’inseguito».
In staffetta vuole la frazione di Tortu.
«Ha solo espresso il desiderio di poter correre qualche volta l’ultima frazione. L’atmosfera tra i ragazzi è buona. Non ci vedo niente di male.
Sull’esclusione dai premi di World Athletics ringraziamo la stampa italiana per la solidarietà».
Riconfermate il cessato rapporto
con il nutrizionista Spazzini che rischia con altri il processo^
«Sì. Siamo stati molti chiari sull’interruzione del rapporto».
Come sarà questo Natale per voi?
«Più sereno. Non vediamo l’ora di ricominciare a correre. Dopo Tokyo ci siamo fermati perché Marcell non aveva più energie nervose. È cambiato. Prima era naïf, ora è un uomo. Sa quello che vuole e il segno che vuole lasciare».