la Repubblica, 2 dicembre 2021
Gli amori omosessuali della grande musica
È imprudente sbirciare sotto le lenzuola dei compositori classici, potrebbero venir fuori situazioni imbarazzanti. Perciò in passato i biografi hanno lasciato perdere, a meno che non avessero la certezza di trovarli in dolce compagnia: mogli legittime o amanti clandestine poco importa, basta si trattasse di donne. Perché guai a ipotizzare inclinazioni omosex. L’arte incarnata in sonate, sinfonie, notturni e quartetti non può che essere perbene, dunque etero. Semmai, nel dubbio, affibbiare per precauzione ai compositori poco calorosi con il gentil sesso perlomeno una qualche fidanzatina di gioventù, come a Schubert. O lodarne la purezza morale, come per il “casto” Händel. Eppure Schubert, con il suo aspetto da fanciullone sognatore, era uno dalla sessualità esuberante che bazzicava anche travestiti, mentre Händel frequentava i popolosi serragli maschili delle corti cardinalizie romane e dei circoli nobiliari londinesi.
A enumerare questi e altri casi di cancellazione, omissione, ridimensionamento dei sentimenti dei compositori per persone dello stesso sesso attuato da una musicologia prudentemente omofobica è ora il libro Non tocchiamo questo tasto: musica classica e mondo queer di Luca Ciammarughi (edizioni Curci). Se l’autore – pianista, critico, conduttore radiofonico, attivista per i diritti Lgbtq+ – fruga nell’intimità dei musicisti, non lo fa per gusto gossipparo. “Considerare la sessualità di un artista significa scandagliarne i desideri più profondi, spesso inconfessabili, per comprendere come interagiscono con il processo della creazione artistica”, spiega. Il fatto è che alcuni di questi compositori sono autentici eroi nazionali, e specie in epoche di totalitarismi o, adesso, di sovranismi machisti, parlare delle loro inclinazioni omoerotiche diventa affar di stato. E se la Russia non può negare che Cajkovskij, pur vergognandosene, adorasse i giovinetti – per averne adescato uno di troppo fu costretto da un giurì d’onore a suicidarsi bevendo acqua infettata dal colera e con un pizzico d’arsenico – almeno che non lo si dica a voce alta. Tanto più che provò a emendarsi sposandosi con un’allieva, salvo poi dar di matto la prima notte di nozze per la repulsione di dover toccare una donna.
Più ambiguo il caso di Chopin, padre della patria polacca. Finora a garanzia della sua ortodossia sessuale stava la liaison con George Sand, la scrittrice che si abbigliava da maschio. Tuttavia a rimetterla in discussione è arrivata un’inchiesta della radio svizzera condotta l’anno scorso dal pianista e giornalista Moritz Weber: vi è emerso che nelle traduzioni dal polacco all’inglese delle lettere del compositore sia stata compiuta una deliberata sostituzione dei pronomi maschili in femminili e sottovalutato l’afflato affettivo per l’amico Tytus Woyciechowski, destinatario di frasi quali “amami, ti prego” e “un solo tuo sguardo dopo ogni concerto varrebbe per me più di qualsiasi lode di tutti i pianisti”.
Però non sempre è coperto da segreto e vergogna l’amore di maschi per maschi – o di donne per donne, come nel caso della sola compositrice ricordata nel volume, Ethel Smyth, amica di Virginia Woolf. Casomai può esser vissuto con discrezione. In Satie, Ravel, Boulez, nel cattolico Poulenc. Comunque pubblica era la relazione tra il geniale Reynaldo Hahn e Proust. E liberissima di esprimersi, nel Novecento, l’omosessualità di Copland, Barber, Menotti, Henze, Bussotti e la bisessualità di Cole Porter, Cage, Bernstein. Soggiogato dal senso di colpa, tra i moderni, solo Benjamin Britten, per la pulsione erotica, repressa, verso minorenni esili e asessuati tipo David Hemmings, protagonista del suo Giro di vite destinato a divenire attore cinematografico in
Blow-up e Profondo rosso.