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 2021  dicembre 02 Giovedì calendario

Regeni, l’Egitto va processato all’Aja.Lo dice la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta

Ci sono tre importanti novità nella relazione che ieri la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni nel 2016 ha approvato all’unanimità dopo tre anni di lavoro. La prima è che la procura di Roma non è sola: anche il Parlamento non ha nessun dubbio nell’affermare che «la responsabilità del sequestro, della tortura e dell’uccisione di Giulio Regeni grava direttamente sugli apparati di sicurezza della Repubblica araba d’Egitto, e in particolare su ufficiali della National Security Agency». La seconda è che, oltre ad averlo ucciso, gli apparati egiziani non hanno voluto salvarlo: nei nove giorni di prigionia e torture, hanno mentito alla nostra diplomazia, alla nostra intelligence e anche a quelle dei Paesi esteri. L’American University aveva contattato subito, attraverso i propri canali di sicurezza, la National security che però aveva negato di conoscere o aver arrestato il ricercatore italiano. La terza novità è che il Parlamento in qualche modo mette in mora il governo, meglio, mette in mora tutti i governi che si sono alternati in questi anni: sottolinea, infatti, come «se nei primi due anni, alcuni risultati sono stati faticosamente e parzialmente raggiunti, anche in virtù dell’intransigenza mantenuta dall’Italia, negli anni successivi non sono venute dal Cairo altro che parole a livello politico». E propone due azioni: portare l’Egitto davanti al tribunale internazionale per aver violato la Convenzione Onu sulla tortura. E un intervento legislativo interno, per superare l’impasse che, di fatto, ha messo il processo su un binario morto: l’idea potrebbe essere una legge che impedisca a Stati esteri di sottrarsi al processo con il sistema delle mancate notifiche.
Le responsabilità egiziane
Come detto, la Commissione non ha alcun dubbio che i responsabili del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni siano da trovare accanto ad Al Sisi. «I responsabili dell’assassinio di Giulio Regeni sono al Cairo, all’interno degli apparati di sicurezza e probabilmente anche all’interno delle istituzioni», scrivono nella relazione. La ricostruzione è quella della Procura: dunque, l’attenzione dei servizi egiziani per il ricercatore italiano da quando comincia a lavorare alla sua ricerca; il bando della fondazione Antipode, per aiutare gli ambulanti, di cui Giulio aveva parlato all’ambulante egiziano Abdallah, che lo tradì; la paranoia «verso i finanziamenti esteri alle locali organizzazioni non governative» da parte del Governo. E poi il sequestro, le torture, i depistaggi. Il ritrovamento del cadavere, non casuale, ma fatto arrivare proprio durante la vista della’allora ministra Federica Guidi al Cairo. Infine «una latente conflittualità tra i diversi servizi di intelligence»: la National security potrebbe aver ucciso Giulio per recuperare prestigio: è emblematico sotto questo profilo l’atteggiamento del ministro degli Interni Ghaffar, la cui presenza nella sede della Nsa sarebbe altresì attestata proprio nelle ore successive alla presentazione della denuncia nei confronti dello studente».
Non hanno voluto salvarlo
Negli atti allegati alla relazione c’è però qualcosa di più. Viene raccontato, infatti, come nelle ore successive al sequestro le attenzioni della diplomazia si siano indirizzate alla National Security. Senza fortuna. I primi a muoversi sono quelli dell’American University, a cui Giulio in qualche modo era legato. Lo fa il responsabile della sicurezza dell’università, il generale Mohamed Ebeid. Poche ore dopo la scomparsa dice agli amici di Giulio «di essere in quel momento al telefono con la National Security per sapere dove si trovi Regeni». Concludendo in una email: «Forse è stato arrestato da qualche parte. Vi terrò aggiornati». Poche ore dopo, Ebeid dà quell’aggiornamento: «Il ministero asserisce che Giulio Regeni non è stato arrestato e non è tenuto in alcuna stazione di polizia». Mentono, perché in quel momento Giulio era proprio con loro. Lo conferma anche l’ambasciatore italiano, Maurizio Massari: «Nel corso di queste prime 48 ore le diverse articolazioni di sicurezza egiziane esclusero che Giulio Regeni fosse stato fermato o arrestato. Il 28 gennaio si svolse un’udienza sul caso presso il procuratore della repubblica egiziano. Nei giorni successivi interessai anche il consigliere per la sicurezza nazionale egiziano, l’ambasciatore Faiza Abou el-Naga, una stretta collaboratrice del presidente egiziano Al Sisi. Entrambi gli interlocutori, pur sottolineando come le autorità egiziane e in primis il ministro dell’Interno fossero a conoscenza del caso, mi ribadivano di non avere alcuna notizia circa il nostro connazionale scomparso, precisando che egli non risultava ufficialmente fermato dalle autorità egiziane».
La professoressa di Cambridge
A capire la gravità della situazione è anche la professoressa dell’università di Cambridge, Maha Abdelrhaman, che seguiva Giulio nella ricerca. La docente è sempre stata reticente con la magistratura italiana mentre ha offerto la sua collaborazione alla Commissione. Interessanti sono le sue email. Appena ricevuta la notizia della scomparsa di Giulio scrive ai suoi colleghi: «Giulio Regeni sta lavorando sui sindacati indipendenti in Egitto e questo mi fa preoccupare del fatto che possa essere stato preso per un interrogatorio dalla polizia». La situazione peggiora nelle ore successive. E infatti la docente scrive ad alcuni colleghi. «Sono molto preoccupata e mi sento estremamente responsabile per lui, soprattutto perché lui non è un caso di alto profilo e temo che le indagini possano cadere nel dimenticatoio». Questo, almeno, non è successo.